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# 8 L’amore ai tempi del COVID19

Piergiorgio lasciò che la stanchezza lo cogliesse impreparato. Bevve l’ultimo sorso di birra Messina cristalli di sale e accese una Marlboro. Il campanello squillò senza preavviso, rompendo il silenzio grazie a cui aveva trovato il suo equilibrio mentale, tra il pensiero di Marina e una FFP3.

Voltò lo sguardo verso il campanello. Non poteva aver suonato. Se l’era immaginato. Non aspettava nessun corriere. Non aveva una fidanzata. Sua madre era rinchiusa a Cosenza e non poteva muoversi. E i suoi amici sgattaiolavano come topi dagli appartamenti per fare la spesa una volta a settimana (dichiarata) o portare il cane a fare la pipì ventiquattro volte al giorno.

Accese la Marlboro e di nuovo il campanello squillò. Non era un’illusione. Odorò la sigaretta: era tabacco.

— Chi è? — chiese al citofono.

— Sono Marina.

Che ci faceva sotto casa sua?

Spense la sigaretta. Spazzò via dal divano le bottiglie di birra e le altre cianfrusaglie. Marina era andato a trovarlo in barba a tutti i DPCM, ordinanze, sindaci metropolitani e disposizioni di servizio. Il suo cuore si tuffò in una piscina ricolma di miele. Rassettò in pochi minuti, gettando tutto nella pattumiera. Poi volò in bagno per una spruzzata di Sauvage. Odorò le ascelle: potevano andare! Non aveva tempo per cambiarsi. I passi di Marina sul pianerottolo si facevano sempre più vicini. Prese un respiro profondo e aprì la porta nel momento esatto in cui la donna stava dinanzi a lui. Era fantastica. La mascherina le copriva il naso e la bocca, ma gli occhi brillavano di una luce primaverile.

Piergiorgio restò immobile, imbambolato come quando aveva visto La Venere di Botticelli agli Uffizi di Firenze e non si era mosso per parecchi minuti, incantato da tanta bellezza. Una sensazione che ti paralizza, non riesci a parlare e respiri solo perché è un processo involontario.

— Posso entrare?

— Certo. — Piergiorgio rinsavì, poi si spostò, indicando il piccolo salotto.

— Ti posso offrire qualcosa? — chiese, togliendo l’ultimo numero di Dylan Dog dal divano.

Marina si accomodò con eleganza. Il suo profumo era un uragano. Il cuore di Piergiorgio galoppava, sembrava Furia il cavallo del West. Si ricordò che il frigo era vuoto, ma una bottiglia di Valdobiadene lo salvò in calcio d’angolo.

— Fai tu — disse la donna, mentre lo scrutava.

Piergiorgio stappò la bottiglia e poi disse: — A cosa brindiamo?

— Alle parole che mi hai scritto. Sono bellissime. Sono venuta per dirtelo di persona. Non mi andava di scrivertelo in un sms!

— Marina, io…

Piergiorgio si avvicinò. Gli occhi di lei erano languidi e le labbra, coperte da un rossetto rosso fuoco, umide e sensuali.

— Piergiorgio, io…

E si fici a frittata.

Lui le prese le guance tra le mani e la baciò, e pensò che quello era per lui il primo bacio, come se fino a quel giorno non avesse mai amato. Si perse nelle distese sconfinate del suo corpo, affrontando curve repentine e mozzafiato, guidando con una mano sola, mentre tutt’intorno la casa, il divano e la città stessa scomparivano. Insieme a lei, in quel connubio di corpo e mente, pazzo e sregolato, si sentiva finalmente parte dell’universo.

Pace.

E la primavera era arrivata, puntuale. E aveva scacciato via l’inverno gelido che lo aveva investito.

E chi se fotteva del virus cinese!

Che non era solo sesso lo aveva compreso subito. Sotto l’involucro (meraviglioso) c’era qualcosa che lo attirava ancora di più: un ciriveddu e un cuore.

Da quella sera niente sarebbe stato più come prima. Il cibo non avrebbe avuto lo stesso sapore e persino la luna e le stelle avrebbero brillato in maniera diversa.

Si ritrovò solo a riflettere, mentre iniziava il suo turno di notte. E pensò che si era rincoglionito davvero. Per Marina aveva preso un muro di faccia ed era rimasto schiantato.

Ma poteva mai innamorarsi una come lei di uno come lui?

E soprattutto poteva uno stronzo patentato come lui innamorarsi? Era un cinico e freddo rianimatore. E non era previsto che perdesse la testa per una bionda fausa!

Iniziò il turno di notte con il suo solito rito scaramantico. Un pugno di sale ai quattro angoli del nosocomio, una spruzzata sulla testa e una sulla divisa. Ma sapeva già che sarebbe stata una notte di merda: all’ingresso aveva incontrato Nadia Canotto, l’ostetrica con le tette che parevano un salvagente. Per mantenerle in forma ci voleva il fisico e, nonostante i cinquant’anni, pareva le tenesse ancora su con reggiseni a forma di balcone in cemento armato. Ma aldilà del seno prosperoso, Nadia aveva un difetto: portava Sfiga. Ma non sfiga, bensì Sfiga con la s maiuscola. E non era stato ancora forgiato un amuleto che riuscisse a contrastare la sua potenza.

— Buonanotte, dottore!

Buonanotte, un cazzo! Si era lasciato andare in gesti scaramantici di ogni tipo, sale in abbondanza, aveva messo in tasca un corno rosso, aveva accarezzato il ferro di cavallo (eredità di nonno Turi), che teneva nell’armadietto per i casi disperati. Niente! Non c’era verso. Quando Nadia Canotto salutava… la notte era persa!

A fargli compagnia in quella serata di sventure c’era Pippo Bibita: alto, secco, asciutto. La capigliatura a casco di banane era tenuta in sesto da una fitta impalcatura costruita con gel e altre diavolerie cosmetiche.

— Piergiorgio, guarda che ti faccio vedere! — disse, mostrandogli il cellulare.

— Stiamo a un metro.

— E dai… questa è la mia ultima conquista: si chiama Rosalinda.

— Una mora?

Pippo annuì.

— Ma non ti piacevano le rosse?

— Guarda, ti dirò. Ho iniziato con le bionde, ma sai… sopra erano bionde e sotto… non sempre, ho continuato con le rosse, ma sai… troppe lentiggini e poi, sei rianimatore pure tu, i “rossi” hanno sempre problemi sotto anestesia.

— E ora sei passato alle more?

Pippo Bibita annuì.

— Da quando c’è il coronavirus dico a tutte che sono rianimatore e… indovina? Me la vogliono dare. Io dico: no, no, no… e loro invece insistono… non sai che fatica!

— Immagino.

— Alla mia nuova fiamma ho regalato l’i-phone 11 pro.

— Già che c’eri e hai tutti sti soldi da buttare per una storia che durerà non più di un mese potevi anche regalarle l’11 pro max!

— E qua ti sbagli, — disse Pippo con uno scintillio febbrile negli occhi azzurri, — l’i-phone è 11 pro… il max ce l’ho io in mezzo alle gambe!

Poi si lasciò andare in una risata fragorosa.

— Indossa bene la mascherina, non vedi che ti cade?

— Ce l’ho da sei giorni, la farmacia le dà col contagocce, — rispose Pippo, tornato serio.

Piergiorgio pensava a Marina, non voleva togliersi di dosso la sua fragranza.

Mentre l’orologio in cucina segnava mezzanotte e l’idea di averla fatta franca alla buonanotte di Nadia Canotto prendeva forma nella sua mente, squillò il telefono. Il taglio cesareo, che in tempi di normalità era considerato una grande rottura di scatole, quella notte fu una benedizione. E anche il taglio cesareo successivo non fu visto in maniera ostile. Un cesareo tira l’altro come le ciliegie. Per fortuna non c’era di turno Aida Sguaitamatti!

La mattina seguente Piergiorgio si sentiva mezzo miracolato. Aveva persino riposato due ore.

Ma i quattordici giorni di isolamento del primario erano terminati. Quando vide Muccalapuni entrare in cucina con la sua faccia da pugile, il corpo tozzo, il collo assente e l’orrendo riporto di capelli tinti con un colore innaturale che tendeva all’arancio, comprese in quel momento che la buonanotte di Nadia Canotto non lasciava scampo.

— Dottore Morfina, dove va? — disse, con la voce da fumatore incallito.

— Smonto.

— Chiama Gargamella, ho deciso di rivedere il percorso COVID.

— Ma se lo avete fatto insieme telefonicamente.

— Sì, ma vedi? Non ho niente da fare oggi, e quindi rompo le palle.

Gargamella entrò, trafelato. Occhiali, mascherina e cappellino perfettamente indossati. Ma il telefono di Muccalapuni squillò con l’inconfondibile colonna sonora di Nove settimane e mezzo. Era l’on. Curcuruto.

— Come dici?

— …

— Non ci sono ventilatori sul mercato?

— …

— Non ci sono nemmeno soldi?

— …

— Alla stampa devi dire che siamo pronti, tranquillo ti copro io. Il Sisalvichipuò è pronto!

— …

— Mi serve personale? No, assolutamente no. Ho quattro ragazzi volenterosi che sono ben felici di prenderla nel didietro.

— …

Muccalapuni rise.

— … (risata)

— Non consumeremo lubrificanti, stai sereno!

— … (risata)

— Ne approfitto per chiederti una cosa? La mia nomina a capo dipartimento… anticipiamola! Che ne pensi?

— …

— Grazie grazie grazie.

Muccalapuni chiuse la telefonata con un sorriso che mise in evidenza gli effetti della nicotina sul suo apparato dentario e gengivale.

— Allora, Caposala Gargamella!

— Primario, mi dica. Noi abbiamo sistemato alla meglio seguendo le sue indicazioni e quelle del facente funzione.

— Sei stato bravo, ma dobbiamo rifare tutto.

— Tutto?

— Tutto!

Piergiorgio si intromise: — Ma guardi che stiamo rispettando le linee guida, compatibilmente con la struttura.

— Qualcuno ti ha detto di parlare, Morfina?

— No, ma…

— Ma comando io! — Muccalapuni sbatté il pungo sul ripiano della cucina.

Piergiorgio e Gargamella si lanciarono un’occhiata rassegnata.

— Modificheremo due o tre cose. Faremo foto, video, dichiarazioni. Gargamella, chiama l’ufficio stampa. Noi siamo pronti per l’emergenza COVID.

— Sì, primario. Glielo dica all’onorevole.

— Cosa?

— Che non abbiamo nemmeno gli occhi per piangere!

© Antonino Genovese

#7 Evelyne

Piergiorgio era dubbioso. Era arrivato il momento di dichiararsi apertamente? Una poesia poteva bastare per conquistare il cuore di Marina? Le bionde fause dai capelli lunghi, le cosce affusolate e gli occhi ambrati erano le più difficili da conquistare: nonno Turi glielo diceva sempre.

Era meglio aspettare che l’isolamento terminasse per riempirla con una vagonata di fiori? L’incertezza lo perseguitava, mentre consumava una Marlboro dopo l’altra, rinchiuso tra le mura del suo appartamento da single. Bastava un centimetro un po’ più in là o un po’ più in qua per mandare tutto all’aria.

Aprì il frigo: era vuoto. Non faceva la spesa nemmeno al tempo  del coronavirus. Mezzo limone ammuffito e puzzolente era l’unico esemplare superstite della pandemia. Per un istante la tachicardia investì il torace di Piergiorgio, ma si rincuorò alla vista dell’unica donna che non lo aveva mai deluso: Birra Messina ai cristalli di sale. Le dodici bottiglie allineate gli fecero passare la crisi ansiosa che stava iniziando a montargli dentro.

Stappò la bionda siciliana e ricopiò con la miglior calligrafia possibile i versi di Edoardo. Erano profondi. Ma da dove venivano quei pensieri? L’ultima volta che il suo amico si era espresso senza dire una parolaccia o regalare frasi maliziose a doppio senso era stato il giorno della prima comunione. Poi si era rivelato per ciò che era realmente: un depravato. Adesso se ne usciva con una poesia alla Pablo Neruda. Niente niente che si era innamorato anche lui? Di chi? Forse un’asiatica?

Piergiorgio ragionava. Aveva bisogno di un piano per conquistare Marina. Non poteva presentarsi sotto casa sua e mettersi a recitare la poesia. Avrebbe balbettato al primo rigo. E poi si sarebbe sentito in imbarazzo. Per non parlare delle sentinelle (Santa Maria Goretti ed Elizabeth II di Gluecity) che gli avrebbero fatto i raggi X. Scosse la testa. Non era fattibile.

Tracannò l’ultimo sorso di birra, mentre i suoi neuroni correvano intorno alla soluzione. Gli sarebbe servita la sua amica del cuore.

Il problema principale era rintracciare Evelyn, la romanaccia. Assegnata a un ufficio della direzione sanitaria di presidio, quindi imboscata, sarebbe stata un’ardua impresa poterci parlare. Tra una missione, una 104, un permesso retribuito e un giorno di ferie, rischiava di incontrarla tra non meno di trenta giorni. Lo sconforto lo colse impreparato, poi lo smartphone squillò. Era l’oroscopo di Nostradamus, che recitava così: “La fortuna vi accompagna in famiglia con davvero bei momenti da vivere insieme ai vostri figli o parenti stretti come nonni o zii, cugini, ecc…

Minchiate! Era single, isolato, mezzo depresso e con due mongolfiere in mezzo alle gambe che presto gli avrebbero fatto prendere il volo.

Continuò a leggere: “Il fato può portarvi qualcosa di buono soltanto se avete seminato in passato e quindi si tratterà comunque di una fortuna meritata piuttosto che caduta dal cielo. Ottime giornate quelle di venerdì e sabato per provare a giocare ad una lotteria ma ricordatevi di giocare il minimo indispensabile.” 

Primo: la lotteria era stata bloccata dal governo. Secondo: venerdì era troppo lontano e non pensava che il coronavurs gli avrebbe lasciato scampo. Terzo: che cosa aveva mai seminato di così importante nella sua vita? Non aveva mai nemmeno avuto un orto! L’oroscopo era un’emerita stupidaggine, creata per i creduloni come lui.

Riprese a fumare. Guardò l’ora: il suo turno di guardia iniziava tra meno di mezz’ora. Si vestì di tutto punto e si scapicollò in ospedale. Aveva lasciato la sua utilitaria con una ruota in un’aiuola. Le ferie erano state revocate a tutti e quindi trovare un parcheggio al Sisalvichipuò Hospital era diventato più difficile che vincere la lotteria Italia.

Tutti i dipendenti del nosocomio erano pervasi dalla folle paura di infettarsi. Non si parlava, non si scherzava e si comunicava a gesti.

Piergiorgio era imbracato al punto che sembrava un Talebano e difficilmente riconosceva i colleghi di lavoro tra mascherine e cuffiette.

Il Sisalvichipuò aveva subito la mutazione tanto temuta, dettata dalla sempre più diffusa patologia del nuovo millennio: il cacazzo.

Sei tenuta a damme la mia mascherina, capito? Nun mene frega un cazzo se non ne avete! Io nun ce vengo a lavorà se non mi date i dippiì!

Il volto di Piergiorgio si illuminò. Non riusciva a vedere Evelyne, ma sentiva la sua voce. Era lei: la grandissima scassapagghiaro e attaccabrighe romana!

Accelerò il passo. Doveva incrociarla. Voltò l’angolo e se la ritrovò davanti. Stava litigando con Gianna Apnea, che utilizzava i suoi modi garbati per abbassare i toni della discussione.

Direttore, nun me ne frega niente di niente. Echecazzo!

— Ciao — s’intromise Piergiorgio.

— Dottore Morfina, per favore, non si metta in mezzo anche lei, che già stamattina in questa direzione facciamo scintille.

Che vuoi pure te? — Evelyne era un toro nell’arena pronto a caricare.

— Non ho potuto fare a meno di ascoltare e posso risolvere io il problema della signora Evelyne — precisò Piergiorgio, rivolgendosi al direttore sanitario, prima di ruotare lo sguardo verso la ragazza.

Signora sarà tu sorella.

— Dottore Morfina, se ha la soluzione, se la veda lei. — Gianna Apnea voltò le spalle e si allontanò, mettendo in mostra il suo lato b, che non aveva niente a che vedere con quello di Marina. Il fondoschiena del direttore sanitario, più che parlare, assomigliava a una televisione vecchio modello con cinescopio!

Allora, dimme come mi puoi aiutà, a me serve una mascherina, sennò giuro che a quella le tiro i capelli e glieli faccio magnà.

Piergiorgio ripensò all’oroscopo. Ecco la sua semina: avrebbe procurato una mascherina a Elevelyne.

— Te la do io, conosco il nascondiglio segreto di Gargamella.

Annamo, a chi stamo aspettanno?

Piergiorgio ed Evelyne, una moretta dall’aria incazzusa e l’occhio sveglio, raggiunsero la stanza del caposala del reparto di Rianimazione.

Ce vedono tutti. Sei proprio un cojone!

— Statti muta almeno un secondo.

Nun è che sei juventino? A me i juventini me stanno sur caz…

— Ti ho detto stai zitta, sennò ci fai sgamare!

Ma sei juventino?

Piergiorgio la ignorò. Era juventino fin dentro il midollo. Nel suo cuore c’era tatuata una “J” e se si fosse tolto la camicia il tatuaggio della Vecchia Signora sarebbe scintillato, ma evitò di rispondere. Controllò il corridoio: era deserto. In cucina intravide la sagoma di Pippo Bibita, giovane anestesista neo-assunto, bello e dannato. Infermiere, ostetriche e dottoresse avrebbero fatto a cazzotti per lui. Si vociferava che fosse ben dotato. Evitò di incrociarlo per non sorbirsi il lungo elenco delle sue innumerevoli conquiste.

Piergiorgio si muoveva rasente al muro e si rivedeva in un film di 007. Per un attimo si sentì Sean Connery, ma poi si voltò, dietro di lui c’era Evelyne. Si rese conto che non era Ursula Andress e che non si trovavano su una meravigliosa spiaggia, ma bensì in un reparto di Rianimazione ai tempi del COVID19.

Raggiunsero la stanza di Gargamella. Si fiondarono dentro. Con maestria Piergiorgio aprì il vecchio e sconquassato armadietto del caposala e con somma soddisfazione trovò un pacco intonso e sigillato di mascherine chirurgiche. Ne afferrò due, poi scappò via, seguito dalla romanaccia.

Grazie, Pergiò, sei stato n’amico. Hai rischiato per me e questo nun lo dimenticherò.

— Figurati.

Se posso fà qualcosa pe’ te, sai dove trovamme.

Evelyne gli voltò le spalle per tornare in direzione a sbrogliare carte, ma dopo la semina, c’è sempre il raccolto. Lo diceva l’oroscopo.

— Effettivamente volevo chiederti una cosa — disse Piergiorgio.

Dimme pure. — La donna gli piantò addosso i suoi occhi picei.

— Sei la miglior amica di Marina?

Evelyne annuì.

— Ho bisogno che le fai avere questa. — Piergiorgio le porse una busta.

La mora la prese e la rigirò tra le mani. La mise in controluce cercando di scorgerne il contenuto — Che cos’è? — chiese.

— Una cosa che vorrei leggesse Marina.

Perché nun poi dargliela te?

— Insomma… è personale… intima…

Me sta a salì la glicemia. Nun me dì che è una lettera d’amore?

Piergiorgio alzò le spalle e fece segno che ci aveva quasi azzeccato.

Preparame l’insulina. Sarà mica ‘na poesia?

Evelyne si diede una manata in fronte.

Se ci tieni gliela do oggi stesso, ma nun te voglio illudè, l’amica mia è cotta, ha la testa tra le nuvole, gli occhi sognanti, il cuore nello zucchero…

— Non ti ha parlato di me? — chiese Piergiorgio.

Nun me ha detto niente di niente. E appena me dice che s’è ‘nnamorata, glie spacco la capoccia!

— Ma scusa che hai contro l’amore? — Piergiorgio proprio non capiva.

Voi uomini siete tutti ‘na massa di stronzi. Ma te voglio aiutà, oggi stesso le darò la tu’ busta.

— Grazie.

Nun c’è de che. Ma te posso chiedè io n’altra cosa?

— Certo.

Me procuri una FFP3?

© Antonino Genovese

#6 Sms, conversazioni telefoniche e un amore sconsiderato

Piergiorgio restò imbambolato dinanzi alla BMW serie 6 nera fiammante, parcheggiata dinanzi all’ingresso del Sisalvichipuò Hospital. Si grattò la testa e corrugò la fronte. Osservò il cielo. La primavera non poteva sapere che un virus letale e altamente contagioso si spandeva dal nord al sud dello stivale e mieteva vittime come niente fosse. Il sole splendeva alto in cielo e riscaldava le sue membra assuefatte. Gonfiò il petto. Si sentiva importante. Per una volta nell’arco della sua carriera non ragionava più sui turni festivi o sulle notti insonni, ma aveva assunto quel ruolo che da sempre competeva agli anestesisti-rianimatori. Altro che medicina dei servizi. Si ripromise di scrivere una lettera al ministro per far togliere quella dicitura ignobile. Da un mese ormai i ginecologi, i chirurghi e i vascolari non rompevano con false urgenze, tranne chi aveva lasciato i libri all’università e non comprendeva il momento storico che stavano vivendo.

Piergiorgio amava il mare in tempesta. Il suo posto era sempre stato sulla cresta dell’onda. E tutte le storie d’amore che aveva avuto, i flirt le mezze toccate di minne erano passi che lo conducevano a lei: Marina, che rappresentava la metà della sua mela. Sarebbe stata perfezione accanto a lui in mezzo alla spuma del Tirreno. Lo sentiva. La percepiva aldilà dell’involucro. E il suo sesto senso non sbagliava mai, sia in sala operatoria, sia quando si imbatteva nel meraviglioso profumo di Marina. 

La BMW era lì e lo guardava con occhi di sfida.

— A noi due — mormorò Piergiorgio, prima di accarezzare il chiodino d’acciaio.

Umberto Desiderio, questo è per aver cenato con Marina, pensò.

Mosse due passi verso il SUV, controllò che nessuno lo stesse osservando. Il parcheggio era deserto, vedere gente in giro era utopia; ad eccezione del quarantenne che faceva jogging con indosso una bella FFP3 e che aveva mandato a strabenedire qualche minuto prima di varcare la sbarra dell’ospedale.

Stringeva in mano il chiodino appuntito. Era a pochi centimetri dalla carrozzeria immacolata, pronto a sancire la sua vendetta, ma fu in quel momento che il suo telefono vibrò.

Chi poteva essere?

Si paralizzò quando lesse il mittente del messaggio: Marina.

Spero di vederti in ospedale. Ho ripensato al tuo invito e ho deciso che a cena voglio andare solo con te.

Mai buongiorno fu tanto gradito. Si sentì in un fumetto: due ali alle caviglie lo portarono a un metro da terra. Il sole che prima lo riscaldava, adesso gli strizzava l’occhio e il cielo azzurro della sua Calabria lo avvolse in un abbraccio. E si sentì in pace con l’universo. La carrozzeria era salva, per adesso. L’operazione chiodino d’acciaio non era annullata, ma rinviata. Desiderio aveva un conto in sospeso… per sempre! Ma in testa gli balenò il tabellone allo stadio: Morfina 1 – Desiderio 0.

Piergiorgio non rispose all’sms, ma si precipitò dentro e fece la fila al timbro, poi si diresse all’ufficio ticket. Dietro il vetro Marina era assorta e non si accorse che lui le andava incontro. I capelli le coprivano in parte il volto e scendevano morbidi come seta sulle spalle. Si avvicinò così tanto allo sportello che trasalì quando la signora Anna tossì.

— Buon… buongiorno — disse Piergiorgio, che avvampò. Il suo volto tondo divenne rosso come un pomodoro cuore di bue.

— Dottore, ha bisogno di qualcosa? Come mai si trova ai piani bassi?

Anna, una mora cinquantenne dal volto gentile e gli occhi scuri e impenetrabili, sorrideva, sorniona. Piergiorgio capì che lo aveva visto imbambolato, completamente incantato da Marina.

— No.. No… insomma… passavo di qui…

— Per caso?

Piergiorgio era imbarazzato. Non riusciva ad elaborare una delle sue proverbiali risposte, che lo avevano sempre tirato fuori dalle situazioni spinose. Marina era il suo tallone d’Achille.

— Volevo chiedere un’informazione… ma Marina è impegnata.

— Io sono libera. — Anna sorrise.

— Sì… ehm… allora… io… — Piergiorgio iniziò a contorcersi le mani, mentre l’incendio continuava a divampare sul volto.

— Allora? — Anna sembrava divertita. Si prendeva gioco del rianimatore. Ma Piergiorgio non riuscì a scriverla nella lista nera di coloro che non avrebbe intubato durante la pandemia. I modi gentili della donna la annoveravano tra i salvabili.

— Ecco… sì. Mi serve un ricettario. — Era una proverbiale minchiatuna ca pala, ma non gli venne in mente altro.

— Gli ambulatori sono chiusi, ma se proprio ne necessita un altro, dovrebbe consegnare quello vecchio.

— Grazie dell’informazione, sa che faccio? Aspetto che la sua collega si liberi così mi faccio spiegare meglio.

Anna sorrise e poi mimò un cuore con con indici e pollici.

Piergiorgio sorrise, imbarazzato. Si sentì come se fosse nudo di fronte a cento donne.

— Senta, posso chiederle una cortesia? — sussurrò poi, — non dica a nessuno che sono innamorato. Sono un cinico, freddo e stronzo rianimatore di provincia. Potrei rovinarmi la piazza.

Anna rispose con un occhiolino, poi disse: — Continuo io col signore, il dottore ha bisogno di parlare con te.

Marina alzò lo sguardo dalle impegnative. Il broncio da bambina viziata lasciò il passo a un sorriso delizioso. Piergiorgio fu colto dalla voglia di afferrarle il volto e stamparle un bacio (sbattendola al muro!), ma si limitò a dire: — Ciao.

— Ciao — rispose Marina.

Quella sua voce era l’unica che voleva sentire tutte le mattine quando si svegliava. Piergiorgio rinsavì. Si era rincoglionito per due occhi da cerbiatta e un culo parlante (che quella mattina non aveva potuto ammirare)! Non poteva essere solo quello.

— Sono passato a salutarti.

Anna li osservava con occhi da sentinella. Piergiorgio si sentì squadrato e controllato e si mise sull’attenti, come se si trovasse in una caserma e fosse sotto esame dal suo superiore.

— Grazie del pensiero.

Un silenzio imbarazzante frugava nella mente di Piergiorgio.

Allora … ci sentiamo.

— Ti aspetto — disse Marina.

Piergiorgio rafforzò il saluto con un cenno della mano e raggiunse il reparto, saltellando.

Il clima che regnava in Rianimazione era di allerta e tensione. Le discussioni sempre le stesse: tamponi che non arrivavano, ventilatori limitati, maschere da sub modificate per CPAP.

Gargamella, sempre più incazzato col mondo, cercava soluzioni: vecchi ventilatori diventavano funzionanti, attacchi dell’ossigeno venivano installati alle pareti, e poi percorsi sempre nuovi per l’emergenza. I casi in Calabria aumentavano: dovevano essere pronti. La paura di poter contrarre la malattia aleggiava, ed era peggio dei turni massacranti e delle ferie revocate. Tutti avevano qualcosa da perdere. Il coronavirus aveva azzerato le certezze, alimentato l’angoscia e resettato tutte le abitudini.

Piergiorgio iniziò il turno di emergenza, sperando che non arrivassero COVID. Aveva trovato Marina e si era imbattuto in qualcosa che soltanto una volta si incontra nella vita: l’amore. E non voleva rinunciarci. Mai più.

Piergiorgio si isolò, altrimenti l’ansia lo avrebbe assalito. Un po’ di sano cazzeggio su Facebook lo avrebbe tranquillizzato. I suoi amici si erano trasformati tutti in provetti panettieri e pizzaioli, per non parlare di una grossa fetta di analfabeti che si erano immedesimati in virologi di grido. Persino l’onorevole Curcuruto continuava a postare minchiate. Passò oltre. Non aveva voglia di incazzarsi con politici e burocrati.

La sua attenzione fu catturata da un articolo: l’ospedale di Vattelapesca, nel cuore della Lombardia, era in affanno. Mancavano rianimatori. Per un istante pensò che era il momento di partire e dare una mano lì dove c’era bisogno. Che ci faceva rinchiuso in un ambulatorio come un codardo? Ma il suo posto era lì: al Sisalvichipuò Hospital.  E doveva pensare alla sua gente.

Una lacrima gli rigò la guancia. Al Vattelapesca lavorava Oreste Trepalletreteste, suo amico e collega. Compose il suo numero e lo chiamò. Si salutarono, commossi.

— Come stai?

— Sono sfinito. Lavoriamo giorno e notte. Combattiamo un nemico invisibile.

— Sto vedendo sui giornali e in TV.

Dopo una breve pausa Oreste chiese: — Com’è la situazione laggiù?

— Speriamo di contenere, altrimenti non avremo scampo.

Piergiorgio immaginò Oreste annuire.

— Ve lo auguro. Questa pandemia è una tragedia senza precedenti. La gente muore sola, lontana dagli affetti. Senza un amico o un parente che possa stringergli la mano. Senza nessuno che pianga al funerale.

Oreste trattenne un singulto.

— Come posso aiutarti?

— Non c’è modo. La stanchezza dopo diciotto ore si sente. Non abbiamo più posti letto e ieri… ieri…

— Cosa è successo? — Piergiorgio non nascose l’apprensione.

— Ho dovuto scegliere se intubare un giovane o un altro meno giovane.

— Meno giovane? Che intendi?

— Tra un quarantenne e un cinquantenne.

Piergiorgio non riuscì a replicare. Non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione.

— Non è stato facile…  — riprese Oreste.

— Cosa possiamo fare?

— Prega, amico mio.

— Io non credo a niente, lo sai.

— Nemmeno io.

— E allora?

— Trova la fede, altrimenti trova qualcuno che preghi per te.

La fine del turno arrivò. E fu sera. Solo nella sua casa le ombre del coronavirus aleggiavano insieme alle parole di Oreste. Per Piergiorgio non ci fu modo di prendere sonno.  La radiosveglia segnava le due quando lo smartphone squillò. Era un sms di Edoardo e recitava così: ecco la poesia per la tua bella.

Seguì una foto col testo.

Il tempo. Vorrei donarti il tempo

e sorrisi senza pianti,

giornate senza nuvole per passeggiare

e piovose per fare l’amore,

vorrei regalarti la felicità

e la vita che c’è nello sguardo acerbo di un bambino,

vorrei donarti la quotidianità

fatta di sguardi, senza promesse non mantenute,

e l’amore a modo mio,

fatto di incertezze e sbagli, carezze e abbracci,

vorrei donarti la mia anima

affinché tu possa percepire

qual è il vero regalo che voglio farti.

Il mio tempo, con te.

Piergiorgio rimase stupito. Anche Edoardo aveva un animo delicato e sensibile, nascosto dietro la scorza dura da scrittore underground.

#5 Una FFP3 è per sempre

Dopo ventiquattrore di lavoro sotto stress Piergiorgio desiderava solo dormire: spaccare il letto fino a farsi venire mal di schiena. Ma la stanchezza era troppa. Era rimasto per ore seduto in mezzo a letto con la compagnia delle sue fidate Marlboro. Il pacchetto scivolava via, una sigaretta dopo l’altra. Aveva provato a leggere persino il libro scritto da una coppia di blogger/influencer che cantavano, sparavano minchiate, si interrogavano sulla fine dell’universo, ma, nonostante fossero inetti e presuntuosi, li vedeva su tutti i canali tv ed erano ospiti in radio, ma soprattutto alzavano fior di euro senza fare una mazza. Il libro era a colori e cartonato, ma soprattutto venduto alla modica cifra di venticinque euro. Le pagine erano piene zeppe d’immagini in alta definizione che ritraevano questi due minchioni che non facevano altro che raccontare la loro vita. Si può sapere che se ne fanno i lettori di ciò che facevano durante il giorno? Le cinquecentomila copie vendute e il boom al botteghino per il loro film di Natale dimostravano che l’italiano medio era analfabeta e preferiva un influencer a Moravia.

Piergiorgio non era un grande lettore, ma se proprio ne aveva voglia, andava pazzo per le storie noir. E allora come mai teneva quel libro (chiamiamolo così giusto per identificare il bene, ma i libri sono altra cosa)? Piergiorgio era stitico e quindi con due paginette al mattino, svuotava l’intestino senza colpo ferire. Quel pomeriggio, mentre le campane della parrocchia suonavano i rintocchi delle quindici, provava a utilizzarlo come sonnifero, ma ottenne invece l’effetto per cui era stato acquistato: una telefonata intercontinentale sul water.

Si vestì di tutto punto, piazzò sulle orecchie gli elastici della mascherina chirurgica e approfittò della giornata assolata per fare due passi: fanculo il DCPM. Edoardo abitava a due isolati di distanza e aveva bisogno di vederlo per recuperare l’FFP3 con cui avrebbe conquistato il cuore di Marina.

La sera prima, mentre lui scorrazzava in ambulanza vestito come un astronauta, il premier Conte aveva chiuso anche i bar e tutte le attività commerciali ad eccezione di farmacie e supermercati. Sarebbe stata dura, ma di fame non sarebbero morti.

Nel tragitto che da casa lo conduceva dall’amico, non incontrò anima viva, ad eccezione di una BMW serie 6 nera fiammante, che sfrecciava sulla nazionale.  Riconobbe subito Umberto Desiderio alla guida: toscano in bocca e l’aria da chi non ha bisogno di niente e nessuno.

— Coglione, — disse a voce a alta, rivolgendosi alla strada ormai deserta, — se mi capiti sotto mano, non ti intubo!

Al solo pensiero che Umberto potesse insidiare la sua Marina gli prese un nervoso che dai capelli raggiunse la punta dei piedi. Accese l’ennesima Marlboro e iniziò a sbuffare come la raffineria di Milazzo. La prima cosa che suscitò la BMW di Umberto fu un chiodino d’acciaio. Lasciò i neuroni liberi di circolare senza freni e immaginò la sua mano che teneva nascosto un simpatico chiodino dalla testa tonda e l’estremità affilata, poi sognò di passare accanto all’automobile di Umberto. L’immagine finale di una bella linea retta sulla carrozzeria nera luccicante lo fece sorridere. Dopo ore di tachicardia e malessere, il groppo in gola si allentò. Ma a farlo star meglio ci pensò anche il suo amico scrittore Edoardo, che, affacciato al balcone del primo piano, riguardava un dattiloscritto, stringendo una stilo in mano.

—Ehi, scrittore! — gridò Piergiorgio.

Edoardo si sporse.

— Amico – rianimatore. Sei venuto per la mascherina?

— Apri il portone e accendi la macchinetta del caffè, non dormo da più di ventiquattrore e sono un cane pronto ad azzannare.

Edoardo si toccò la tempia con l’indice più volte.

— Sei tutto scemo! Se da un normale cittadino sto lontano un metro… con te rischio di infettarmi anche al telefono.

— Ma che dici? Apri questa porta!

— Aspetta…

Edoardo entrò in casa. Piergiorgio si avvicinò al portoncino d’ingresso, aspettando lo scatto della serratura. Trascorsero i minuti e, visto che dall’interno dell’abitazione non si udiva alcun rumore, si accomodò sullo scalino d’ingresso e accese una Marlboro.

— Piergiorgio! — disse Edoardo, — dove sei finito?

— Mi hai lasciato fuori! Che combini?

Edoardo, attrezzato di tutto punto, mise in un cestino di vimini un paio di guanti, un bicchierino di caffè, un cioccolatino fondente e una mascherina FFP3.

— Non dire che non sono ospitale.

Piergiorgio imprecò contro la Cina, i cinesi e pure coreani, giapponesi e tutto il sudest asiatico.

— Al caffè col mio miglior amico non posso rinunciare. E poi lo sai?

Piergiogio lo guardò con aria interrogativa.

— Sei un rianimatore e se fino a ieri eri l’ultima ruota del carro, adesso potrei aver bisogno di te.

— Lo dici perché te la fai sotto dalla paura, — disse Piergiorgio, mentre indossava i guanti.

— C’è una pandemia…

— Domani avrete dimenticato e tornerete a riempire il culo a mediocri chirurghi e ginecologi affamati di denaro… e noi torneremo a lavorare nell’ombra. In fondo facciamo parte della medicina dei servizi.

— Sei perspicace, amico mio! Tornerete dalla fogna da cui vi avevamo lasciato 30 giorni fa. La serva, serve. — Edoardo sorrise.

Piergiorgio terminò il caffè, tolse i guanti e riprese a fumare. Poi chiese: — Che mi dici del nuovo romanzo?

— Sono a buon punto. Alla base di tutto il mio lavoro c’è la denuncia del complotto cinese contro i libri di un giovane scrittore.

— Tu sei pazzo!

— Vedrai… sarà un best seller!

— Notizie dal regista?

— Il primo libro è opzionato, si parla di un cast d’eccezione.

— Ah si… anticipami qualcosa, domani potrei essere con un tubo in gola e non apprenderei la tua ascesa nel mondo editoriale che conta.

— Sei pronto? Siediti che c’è da avere le vertigini.

— Più che altro le vertigini mi stanno venendo a furia di guardarti dal basso verso l’alto.

— Cicciolina… un grande ritorno per il cinema di genere.

— Scusami, ma non era tutto incentrato sull’asiatica?

— Dettagli, amico mio! Dettagli! Ci sono prospettive in cui gli occhi a mandorla non si noteranno!

Piergiorgio era indeciso se ridere o piangere.

— Se lo dici tu… io vado da Marina a portarle la mascherina!

Edoardo si sporse dal balcone. — Marina! Hai una love story e non mi dici niente?

— Non c’è niente, tranquillo… altrimenti lo avresti saputo!

— Dai… a me puoi dirlo… nemmeno una toccatina di minne?

— Guarda che a me questa ragazza piace assai!

— Marina… aspetta… è la tipa dell’ufficio ticket?

Piergiorgio annuì.

— La bionda fausa col culo che parla?

— Smettila, ti prego… almeno con la donna che mi interessa.

— Sì, scusa. Posso dirti una cosa?

— Certo.

— Hai preso un bel muro di faccia, amico mio. Per non commentare il lato b di una donna, questa ti deve aver preso le budella e le ha riempite di farfalle svolazzanti.

Piergiorgio annuì.

— Ho bisogno una mano. Tu sei uno scrittore… puoi buttare giù una poesia?

— Vuoi recitargliela sotto casa?

— Perchè no?

Piergiorgio salutò l’amico, che, dopo avergli promesso una poesia da manuale del romanticismo, rimase a osservarlo dal balcone del primo piano. I rapporti umani, le strette di mano, l’affetto e le pacche sulle spalle erano un ricordo lontano… il virus made in Cina aveva smantellato tutto.

Piergiorgio tornò a casa, salì sulla sua utilitaria in riserva, e raggiunse casa di Marina, che abitava poco distante dalle assolate spiagge di Vibo Marina. Non sapeva quale fosse il suo appartamento, così iniziò a girovagare nelle palazzine. Dopo quasi un’ora di ricerca trovò il campanello giusto: voleva farle una sopresa! Grazie al centralinista, Mimì Gazzettino, che sapeva tutto di tutti era riuscito a farsi dare l’indirizzo di Marina. Peccato che non gli avesse dato alcuna indicazione sull’interno esatto.

Suonò il campanello e una donna si affacciò al balcone. Ormai il portone non lo apriva più nessuno. I capelli lunghi e scuri le raggiungevano le spalle. Gli occhi erano nascosti dietro un paio di occhiali da sole impenetrabili. Il naso aquilino le conferiva l’aspetto austero da professoressa cacacazzo. Indossava un abito lungo: sembrava Santa Maria Goretti. Le ricordava la sua docente di Latino e Greco del liceo.

— Desidera? — La donna parlava con il muso stretto e il naso all’insù.

— Cercavo Marina.

— Lei chi è?

— Sono un collega. Marina è in casa?

— Non sono fatti suoi. Vorrei sapere come mai è qui?

— Devo parlare con Marina, se non è in casa proverò a ripassare.

In quell’istante uscì un’altra donna. Era fasciata in un abito elegante beige. Piergiorgio pensò che stesse andando a una festa.

— Chi è questo tizio? — chiese. Il tono era straniero, ma Piergiorgio non riuscì a identificarne la provenienza.

— Un collega di Marina — rispose la professoressa, sempre se lo fosse.

— E che vuole?

— Scusate se mi intrometto, ma Marina è in casa? E soprattutto voi chi siete?

— Giovanotto, — esordì la mora, — io mi chiamo Caterina, sono la sorella di Marina, e insegno Storia e Filosofia al Liceo.

Questa è ancor più cacacazzo di quella di Latino e Greco, pensò Piergiorgio.

— E io sono la migliore amica di Marina: duchessa Elizabeth III di Gluecity.

Mizzica, una dama inglese. Piergiorgio si diede uno schiaffo. Di certo erano allucinazioni. Quelle due sembravano uscite da un cartone animato.

— Si identifichi.

— Sono Piergiorgio Morfina, rianimatore.

Le due donne si guardarono all’unisono ed entrambe mostrarono una dentatura perfetta e un sorriso smagliante.

— Perchè non l’ha detto prima? Un rianimatore… che bello! — asserì Elizabeth, mentre rassettava la frangia bionda cenere, che le copriva la fronte.

— Vuole che le chiami Marina? — chiese la professoressa.

— Se possibile, le sarei grata, miss… — Piergiorgio si esibì in un inchino che rappresentava una presa per i fondelli.

— Come mai la cerca, Sir Morfina? — chiese Elizabeth.

— Ho una mascherina da consegnarle.

— FFP3? — chiese la dama inglese, sopresa.

Piergiorgio annuì.

— Deve amarla veramente tanto. Lei lo sa che una FFP3 è per sempre?

Piergiorgio arrossì.

In quel momento Marina si affacciò al balcone. Bella come il sole d’inverno. Forte come le onde del mare in tempesta. I capelli si muovevano morbidi, sollecitati da una leggera brezza marina.

— Ciao Piergiorgio! Mi hai trovato!

— Eh sì.

— Come mai?

— Ho la tua FFP3.

Marina portò le due mani alla bocca.

— Non avrei mai pensato che tu potessi compiere questo meraviglioso gesto nei miei riguardi.

— Figurati… non è niente. Posso invitarti a cena quando il conoravirus se ne tornerà dal buco da cui è venuto fuori? Magari possiamo incontrarci con un po’ più di privacy…

— Sono una donna fortunata, ho ricevuto ben due inviti a cena in meno di ventiquattr’ore.

Piergiorgio la guardò stranita

— Posso sapere chi è l’altro pretendente?

— Ieri al bar del Sisalvichipuò Umberto Desiderio è stato più veloce di te.

Il volto di Piergiorgio si rabbuiò. L’operazione chiodino d’acciaio diventava sempre più una questione di vitale importanza.

— Umberto è un caro amico.

— Ah sì? Non lo sapevo…

Caro amico. Chissà che voleva dire: caro?

— Ci conosciamo da anni. Siamo già stati parecchie volte a cena insieme…

Piergiorgio lasciò correre il discorso. Desiderava soltanto rinchiudersi a casa e meditare la vendetta. Salutò le sentinelle, che durante tutta la discussione erano rimaste a osservarlo.

—  La mascherina te la lascio giù nelle scale…

— Sei stato molto carino. Non lo dimenticherò.

Che voleva dire che erano andati a cena insieme? E soprattutto c’era stato o no il dopo cena?

© Antonino Genovese

#3 Aida Sguaitamatti e l’urgenza programmata in tempo di coronavirus

Il conoravirus avrebbe causato molte vittime, di questo ormai Piergiorgio ne era certo. Ma al di là degli infetti e delle polmoniti intrattabili, molti sarebbero finiti sotto le grinfie dei becchini per una patologia tanto diffusa quanto misconosciuta: il cacazzo.

Anche Piergiorgio se la faceva sotto dalla paura. Non solo per quella di infettarsi e di finire con un tubo in gola a causa delle venti (dichiarate) sigarette al giorno, ma soprattutto lo inquietava il terrore di non potersi recare da Nonna Veronica, che lo riempiva di prelibatezze. Il freezer già iniziava a svuotarsi e, se l’isolamento continuava, sarebbe finita a mozzarella e scatolette. Altro che parmigiana di melenzane. I suoi addominali erano in pericolo. Ma meditava un piano b: nonna Veronica poteva tranquillamente lasciare i manicaretti da congelare nell’ascensore, evitando di correre il rischio di infettarsi. Senza la sua pancia da rianimatore non si sentiva se stesso. Avrebbe fatto questo sacrificio per tutelare l’immagine di tutta la categoria. Si ripromise di chiamarla nel momento in cui i viveri fossero davvero ridotti all’osso. Meglio non rischiare la salute della nonna. Si sarebbe rimesso in carreggiata una volta fronteggiata la pandemia.

Piergiorgio, come ogni sacrosanto giorno, varcò la soglia del Sisalvichipuò Hospital, ma quella mattina trovò una bella novità: nella stanzetta del timbro si entrava uno alla volta e bisognava mantenere un metro di distanza gli uni con gli altri. Dopo dieci minuti di attesa sfoderò il cartellino e iniziò ufficialmente il turno sotto gli occhi della dottoressa Gianna Apnea, il direttore sanitario di presidio fresca di nomina, premiata per le sue grandi qualità… sotto la scrivania dell’On. Curcuruto prima e dell’assessore regionale alla sanità dopo. Senza considerare le male lingue che urlavano a gran voce un suo passaggio sotto lo scrittoio (piccolo, ma comodo) del direttore generale. La dottoressa Apnea, mascherina sotto il naso, occhialino da professoressa e capello fresco di piega (con le parrucchiere chiuse Piergiorgio non si capacitava di cotanta ostentata perfezione) vigilava sul rispetto della distanza di sicurezza con un bastone lungo un metro.

— Dottore Morfina, dov’è la sua mascherina? Perché ne è sprovvisto?

La voce sgradevole lo riportò alla realtà, trascinandolo via dal sogno che stava facendo: la tavola cunzata a casa di Nonna Veronica.

— Direttore, buongiorno. Non credo che il mio reparto sia fornito di mascherine in abbondanza. Se ne troverò una, la indosserò.

— Oggi sono arrivate ben cinquanta mascherine. Non si lamenti e rispetti le regole.

Piergiorgio annuì. Non aveva voglia di iniziare il turno polemizzando.

Si voltò e squadrò la dottoressa Apnea: non si sarebbe fatto sfiorare nemmeno con un dito, né sotto, ma tantomeno sopra la scrivania.

Arrivato alla fine del corridoio, anziché continuare dritto verso la scala che lo avrebbe condotto in Rianimazione, svoltò a destra per passare dinanzi all’ufficio ticket. Marina era lì, seduta alla sua postazione. La osservava. Era bella. Una bionda (fausa) con occhi da cerbiatta. Non riusciva a schiodarle gli occhi di dosso. La donna era impegnata a discutere con una paziente gravida che doveva fare una visita in intramoenia con la sua collega ginecologa Aida Sguaitamatti, ricercatissima dalle pazienti, ma da evitare come la peste per il suo scarso appeal con i libri universitari: non li aveva mai aperti.

Quando Marina alzò gli occhi dalle scartoffie i loro occhi si specchiarono gli uni negli altri. Piergiorgio sentì che le gambe gli stavano crollando. Quando lei gli regalò un sorriso, lui alzò la mano destra e la salutò. Stava per tornare indietro e imboccare il corridoio per raggiungere il suo reparto, ma si sentì chiamare. — Dottore, dottore.

Piergiorgio si voltò. Era lei. Ebbe il dubbio che si stesse riferendo proprio a lui. Un anestesista che veniva chiamato “dottore” era cosa insolita. Ma i tempi stavano cambiando.

— Sì… sì… sono io.

Piergiorgio, cazzuto, cinico e stronzo rianimatore, iniziò a tentennare e si meravigliò di se stesso: non era da lui.

— Dottore Morfina, lei è un anestesista?

— Sono rianimatore, sì.

Piergiorgio non apprezzava essere etichettato come quello che addormentava e svegliava i pazienti. Il suo lavoro era ben altro. Definirsi rianimatore lo faceva sentire più figo, specie in tempo di coronavirus.

— Volevo chiederle una cortesia.

— Certo, ma a una condizione. Non sono poi così vecchio. Diamoci del tu e mi sentirò meno in imbarazzo.

— Certo, certo — disse Marina. Le sue guance si imporporarono.

— Come ti posso aiutare?

Marina si avvicinò al suo orecchio e Piergiorgio approfittò della vicinanza per assaporare il suo profumo. Ne fu subito certo: si trattava di Bottega Veneta. Il suo olfatto non mentiva mai. Poteva riconoscere ogni tipo di fragranza.

— Puoi procurarmi una mascherina FFP3?

Piergiorgio si sentì preso in contropiede. Ipotizzava altro: una cena in un locale romantico (post isolamento), un viaggio all’Allianz Stadium a vedere la Juventus (post riapertura campionati), una passeggiata in riva al mare (le spiagge il premier Conte le aveva chiuse o no?).

— Veramente… non penso che ne abbiamo… forse una… o due…

Il volto angelico di Marina si rabbuiò. Un velo di delusione le adombrò lo sguardo.

— Ma non ti preoccupare. Te ne procurerò una. Per me niente è impossibile.

Il sorriso carico di fiducia della donna ristabilì il suo equilibrio con l’universo.

— Grazie, Piergiorgio. Sapevo di poter contare su di te.

Avrebbe voluto baciarla, ma in tempo di isolamento non era il caso che si lasciasse andare in slanci d’affetto. Mentre Marina tornava alla sua postazione di lavoro Piergiorgio non poté fare a meno di radiografare il fondoschiena parlante su cui sperava di far morire, un giorno non troppo remoto, la sua mano.

La soddisfazione di averla resa felice per la prima volta durò il tempo delle scale, perché Gargamella sbraitava al telefono con la farmacista. I DPI sarebbero rimasti un sogno.

— Caposala, con che cosa ci proteggeremo dall’infezione? Arriveranno molti casi. Se raggiungiamo solo il 10% dei numeri della Lombardia siamo fottuti, lo sai?

— Ti rispondo in italiano così mi capisci: con una beata minchia!

— A me serve una FFP3.

— E per fare che?

— Fatti miei.

— Non ce n’è! — Gargamella non reggeva più lo stress. Ad ogni richiesta scattava come una molla.

— Ma possono lasciarci morire in questo modo?

— Ti ricordo che durante la seconda guerra mondiale ci hanno mandato in Russia con le scarpe di cartone. Ti meravigli se non abbiamo tute in Tyvek e mascherine FFP3?

— A me ne non me frega niente delle tute, mi serve una mascherina.

— Compratela in ferramenta!

Forse con Marina non avrebbe fatto cattiva figura. L’avrebbe conquistata. In tempo di coronavirus una FFP3 è più accattivante di un mazzo di rose rosse. Si allontanò senza degnare Gargamella di uno sguardo e si fiondò nella stanza del medico di guardia, lontano da orecchie indiscrete. Da quel guaio poteva tirarlo fuori solo il suo amico scrittore Edoardo. Compose il numero. Al terzo squillo rispose.

— Amico mio.

— Stai disturbando la mia ispirazione… — il tono sprezzante di Edoardo voleva significare solo una cosa: era in fase creativa.

— Scusa, ma è una cosa vitale.

— Sto scrivendo una scena importante del sequel del mio romanzo. Questi cinesi non mi avranno mai!

— Smettila con queste cazzate delle teorie complottiste. Nessuno vuole bloccare il tuo estro creativo. A proposito, come hai deciso di intitolare il secondo romanzo della tua saga?

— L’asiatica sulla scrivania.

— Originale.

— È un romanzo erotico a sfondo sociale. Ha alla base la lotta della società contro il vilipendio dei virus. Ma tu non puoi capire, del resto infili aghi nella schiena della gente e tubi tra le corde vocali.

— Ho bisogno di un favore. — Piergiorgio andrò dritto al sodo.

— Sono tuo amico, anche se mi hai tradito non leggendo il mio romanzo.

— Vai in ferramenta e compra una FFP3. — Piergiorgio ignorò l’offesa dell’amico.

— Una mascherina?

— Sì. Ma bada bene che sia FFP3.

— Ok.

— Fammi sapere se ne trovi. Vanno a ruba. In ospedale non ne abbiamo e la farmacia non sappiamo se ne fornisce.

— Consideralo fatto. In casa ne ho sei confezioni da cento.

— Cosa?

I quattro peli castani sul cranio di Piergiorgio si drizzarono.

— Con questo romanzo sfiderò i potenti del mondo e metterò in discussione le loro certezze. Ho pensato che dovevo proteggermi dai loro attacchi. Dopo il COVID19 ci sarà il COVID20. Devo essere pronto.

— Hai 600 mascherine a casa?

Piergiorgio immaginò il ghigno di soddisfazione dell’amico all’altro capo del telefono.

— Mettimene una da parte. Non fare lo stronzo.

— Ti aspetto dopo il lavoro, ma ora fammi lavorare. Ho molto da fare.

Piergiorgio stava per liberare il carattere calabrese fumantino, ma la chiamata per un cesareo di urgenza lo riportò al dovere.

Al Sisalvichipuò Hospital i tagli cesarei erano come le ciliegie: uno tirava l’altro. E per un anestesista di provincia che si rispetti erano pane quotidiano. Non ebbe il tempo di riagganciare la chiamata proveniente dal reparto di ostetricia che sentì urla provenienti dal complesso operatorio.

— Un cesareo. Un ceareoooooooooo.

Era Aida Sguaitamatti.

— Ma è urgente-urgente? C’è bradicardia? Sanguina?

— No.

— Ma che urgenza è? — chiese Piergiorgio.

La voce di gallina di Aida riempì l’antisala.

— Il cesareo è urgente. Vedi? Ti ho fatto il foglio — asserì la ginecologa, sbattendo la cartella sulla scrivania dell’accettazione. — E sul cesareo devi stare zitto. Decido io. Tu lo sai chi sono io?

— Una gallina che urla! — rispose Piergiorgio.

— Come ti permetti.

— Senti, io ti ho solo detto che la situazione non è così urgente da fare sto casino. Siamo in tempo di coronavirus e la dovreste smettere con le finte urgenze programmate dal giorno prima!

— La signora è già pronta, digiuna da ieri sera — affermò Aida Sguaitamatti, trotterellando.

— Ah certo! Hai visto che mi prendi in giro? È programmata e me la passi d’urgenza!

Piergiorgio girò i tacchi e si diresse verso l’accettazione. In tutti gli ospedali d’Italia l’anestesista era considerato lo zerbino. Ma i tempi stavano cambiando. Se si fosse trovato a decidere chi intubare o no per carenza di posti, avrebbe preferito la dottoressa Apnea alla Sguaitamatti. E con questo pensiero aveva esplicitato quanta stima nutriva nella ginecologa.

— Sbrigati! Non perdere tempo. — Aida continuava a urlare.

— Devo visitarla, far firmare il consenso. Stai calma e non urlare.

— Tu, dico a te! — La ginecologa si rivolse all’infermiera.  — Il tavolo è pronto? Hai avvisato il Nido?

Piergiorgio rideva di sottecchi. La verità era una: Aida Sguaitamatti sarebbe stata una vittima, ma il coronavirus le sarebbe stato lontano, acida per com’era. A lei ci avrebbe pensato il ben più temibile cacazzo!

© Antonino Genovese

#2 Teorie complottiste

La sensazione che provava ogni volta che si trovava al Sisalvichipuò Hospital era la stessa dal 2014, quando per la prima volta aveva varcato la soglia del piccolo ospedale di provincia di cui si era innamorato: era a casa.  Piergiorgio non amava i grandi numeri degli ospedali di città. Le gerarchie dei Policlinici non facevano per lui che era sempre stato d’indole libera e poco incline alle regole. Ma da quando era scoppiata la pandemia e la gente moriva, non si sentiva al sicuro. Il premier aveva parlato alla nazione, emanando un DCPM restrittivo che aveva messo le ganasce persino al suo amico scrittore-mantenuto Edoardo, il quale era stato costretto ad annullare il mega evento letterario per la presentazione del suo libro porno-erotico “La dottoressa se la fa in ambulatorio”, che il regista Rocco Siffredi aveva già opzionato per un film che sarebbe stato girato entro la primavera del 2021. 

Non riusciva a rinunciare alle vecchie abitudini, non tanto perché non riusciva a privarsi di ciò che faceva da anni, ma per la sua indole scaramantica. Alla colazione al “Bar Mario” con Edoardo non avrebbe rinunciato. Ne valeva della buona sorte del turno.

Caffè ristretto amaro come il veleno, mezza ciambella fritta senza zucchero e sigaretta.

— Sono le sette e mezza. A che ora monti? — chiese Edoardo, alto e dinoccolato. Con l’indice riposizionò gli occhiali da sole alla radice del naso a patata. Proprio non ne volevano sapere di stare al proprio posto.

— Alle otto. Mi fai la stessa domanda da cinque anni.

— Sì, ma porta bene. O no?

Piergiorgio si toccò in mezzo alle gambe. Il gesto non passò inosservato ai pochi avventori, che lo guardarono schifati. Era poco galante, ma un turno in pace era molto meglio delle occhiate malevole della gente.

— Speriamo.

— Posso farti una domanda personale? — chiese Edoardo, dopo aver ingurgitato il caffè in un unico sorso.

Piergiorno annuì

— Ma perché continuiamo a fare colazione in questo bar schifoso?

— Perché porta bene.

— Ah sì, allura paga tu, e prepara un posto in rianimazione che mi hanno avvelenato!

Piergiorno accese la Marlboro. E siamo alla terza, pensò. Di questo passo il pacchetto non sarebbe arrivato a sera.

I pochi coraggiosi che prendevano ancora il caffè al bar si scansavano gli uni dagli altri, respiravano poco e parlavano ancora meno. Piergiorgio si diresse a rapide falcate verso l’ospedale. Erano le otto meno dieci e non era sua abitudine dare il cambio in ritardo.

— Secondo me questo è un virus creato in laboratorio per distruggere l’occidente — disse Edoardo.

— Sì, come no…

— Te lo dico io! Questi cinesi vogliono affossarci.

— Secondo te siamo una potenza economica che fa paura? Ma dai… ti facevo più intelligente.

Edoardo afferrò il gomito di Piergiorgio, che sobbalzò. Da giorni ormai i contatti umani e le manifestazioni d’affetto erano bandite.

— Ci sono! Il mio best-seller.

Piergiorgio si staccò dalla presa e riprese a camminare verso l’ospedale senza dargli conto.

— La scena con l’asiatica!

— Non ti seguo.

— Hai letto o no il mio libro? — Edoardo si piazzò dinanzi all’amico, impedendogli di proseguire

— Non tutto… sai… insomma…

Edoardo si accigliò.

— Non ti offendere. È un porno! E anche poco originale.

— Poco originale! Tu non capisci niente di libri!

— Sì, ma… insomma… non so che c’entra l’asiatica.

— Stanno boicottando il lancio del mio libro. Io sarei diventato famoso… capisci? La pandemia è un pretesto per tarparmi le ali da scrittore. Persino Rocco si è interessato al testo, sta già scrivendo la sceneggiatura.

— Sono certo che era interessato ai dialoghi! — ironizzò Piergiorgio, poi riprese a camminare.

— Tu puoi non credermi, ma si tratta di un complotto internazionale.

— Sì, ma stai a casa. Non uscire e non fare stupidaggini. Se il coronavirus dilaga, siamo persi.

— Vedrai che è solo un’influenza. Una bolla di sapone… — Edoardo minimizzò, come era suo solito fare.

— Spero che sia come dici tu. Mentre tu studi bene la scena con l’asiatica, io vado a lavorare. Il Sisalvichipuò ha bisogno di me.

— Sei fissato con questo ospedale. In fondo sono quattro mura, un tetto, siringhe, sale operatorie…

— Forse per te, per me è… casa.

Edoardo non sapeva che lì dentro, presente tutti i giorni dietro il vetro dell’ufficio ticket, c’era Marina, la donna che con i suoi capelli biondi, il suo sorriso smagliante e, soprattutto, un fondoschiena parlante, lo aveva stregato fin dalla prima volta che ci era andato a sbattere contro.

Le cose non erano andate come sperava e quella mattina Marina era nascosta in qualche sgabuzzino recondito a sbrogliare scartoffie. Il sole che brillava dentro il Sisalvichipuò era offuscato. Aveva l’impressione che la primavera fosse rimasta fuori ad aspettare un invito, come un ragazzo di troppo quando si fanno le squadre al campo dell’oratorio. Per un attimo tornò adolescente, mentre calcava i campi di calcio sterrati e il sogno di diventare il nuovo Roberto Baggio, solo che a stroncare tutto era stata una torsione di troppo del ginocchio e i legamenti saltati per aria. Anche se di Baggio aveva avuto solo il codino, perché i piedi erano storti come una quercia piegata al vento, inutile negare l’evidenza. Al destino non si scappa e così a vent’anni aveva capito che doveva rimettersi a studiare. Aveva conosciuto il suo maestro in un maggio assolato, mentre fuori i suoi coetanei correvano dietro sogni irrealizzabili, lui si era innamorato di un laringoscopio e un tubo da mettere in mezzo alle corde vocali. Ed era stato amore. Piergiorgio sentiva di essere nato per quello: l’umo per gli altri.

Salì i gradini con mille pensieri e una Marlboro spenta all’angolo della bocca. Aprì la porta del reparto. Un lungo corridoio collegava il complesso operatorio alla Rianimazione. Lo accolse il caposala Gargamella. Occhi spiritati dentro un cranio calvo. Le occhiaie di chi non dorme da molti giorni. Una sigaretta appena rollata. Due orecchie a parabola piegate sotto il peso di un paio di occhiali del dopoguerra. Sembrava un gatto pronto a scattare: pelo arricciato e artigli allerta.

— Mettiti la mascherina. — Lo rimproverò.

— Ma sei impazzito?

Piergiorgio non lo riconosceva più. Il Coronavirus aveva trasformato lo scanzonato Gargamella.

— Fuori c’è la morte. Lo capisci? La morte. E noi non abbiamo percorsi. Non abbiamo DPI. Ho tirato fuori tutto quello che era utile in farmacia e sai che ho trovato?

Piergiorgio fece segno di no con la testa.

— Una beata minchia!

Gargamella si allontanò e dopo pochi passi si esibì in un saltello nervoso.

— Anziché scassarmi la minchia come fai da sei anni a questa parte… il primario dov’è?

Piergiorgio non ottenne risposta, ma le discussioni in cucina lo informarono con abbondanza di dettagli (al settanta percento inventati) degli ultimi eventi di reparto cui lui non era a conoscenza.

Il dottor Muccalapuni soffriva di ipertrofia prostatica cronica. Andava a pisciare ogni venticinque minuti, cascasse il mondo. E tramite l’onorevole Curcuruto aveva ottenuto un appuntamento dal dott. De Tubis, luminare del settore prostatico. In pratica nel mondo potevano solo… inchinarsi a lui. Ma le liste d’attesa si allungavano, specie per chi, come Orazio Muccalapuni, aveva il braccino corto e preferiva una scorciatoia politica a sborsare le duecentocinquanta euro più iva di visita intramoenia. Così l’esponente di spicco di Forza Calabria, nonché sponsor politico della sua nomina a primario, era riuscito ad ottenere un appuntamento a ufo per il 24 febbraio 2020. Ma De Tubis non sembrava tipo da sottomettersi a un politico, specie se della Terronia, così per un capriccio aveva rinviato il consulto per il 27 febbraio, in piena emergenza corunavirus. Muccalapuni al rientro dalla zona rossa della Lombardia si era rinchiuso in quarantena a casa con la sua giovane e generosa terza moglie, lasciando allo sbando più totale i rianimatori del Sisalvichipuò.

— Quindi se mi arriva un COVID che faccio? — chiese Piergiorgio.

— Prega — rispose Gargamella, sghignazzando.

Sistemeranno tutto. Non ci lasceranno in balia della tempesta, pensò Piergiorgio. Ma più che una certezza era una recondita speranza in fondo al suo animo.

— Compà. — Entrò in cucina, mantenendo la distanza di sicurezza, l’altro maschio del reparto: Pippo Buddacio.

— Ehi. — Piergiorgio non aveva voglia di sfoderare la sua ironia. Tra la sottile cefalea, residuo della bevuta della sera prima, e la paura che iniziava a montare per una pandemia che bussava alle porte del suo ospedale, la voglia di scherzare l’aveva lasciata fuori dalla porta della Rianimazione.

— Amico mio, quante ferie residue hai? — sussurrò, dopo averlo fatto uscire dalla stanza in cui gli altri colleghi ironizzavano sulle prestazioni sessuali di Muccalapuni.

— Dovrei controllare il cartellino… saranno novanta giorni.

— Ho trovato il modo per levarci da questo posto per quattordici giorni. — Gli occhi azzurri di Pippo saettavano, febbrili. I riccioli brizzolati crescevano incolti e bizzarri, così come la barba, lasciata allo stato brado.

— Il direttore sanitario ha revocato le ferie — disse Piergiorgio, ripetendolo a se stesso per interiorizzare il concetto.

— Ho un piano.

Piergiorgio avvicinò l’orecchio destro alla mascherina di Pippo.

— Ci serve un bambino positivo. I bambini sono vettori, ma sono asintomatici. Ne individuiamo uno di una casa di pazienti infetti. Lo blocchiamo, facciamo due tamponi e li mandiamo a nome nostro. Risulteremo positivi e ci mollano a casa quattordici giorni. Che ne dici?

— Pippo, ascolta, quant’è che non scopi?

— Come? Scopare? Che vuoi dire?

— Hai capito, quant’è che non stai con una donna?

Un tic nervoso si slatentizzò sull’occhio destro di Pippo.

— Fatti una scopata e levati dalla testa queste follie.

Pippo si sfregò le mani, poi si allontanò da Piergiorgio. La testa si muoveva sincrona con i passi, compiendo piccoli scatti ritmici sulla destra.

— Scopare, scopare — mormorava Pippo.

Già. E io quant’è che non sento l’odore di una donna? Pensò Piergiorgio.

Il pensiero tornò a Marina. Una giornata senza vederla era priva di significato. Anche un cinico, freddo e stronzo rianimatore come lui era stato colpito dalla freccia di cupido?

©Antonino Genovese

#1 Fino a trenta giorni fa

Lamelle di luce fastidiose iniziavano a scassargli la minchia, ma la sveglia non suonava. L’i-phone stazionava silenzioso e immobile sul comodino, come un alunno che conosce bene l’ira dell’insegnante per un movimento sbagliato durante la lezione. Si illuminava per i continui sms, notifiche e mail. Ma muto era e muto restava. Sapeva già che rischiava l’exitus. Era già traballante con uno schermo spaccato a metà. Se avesse suonato un minuto prima del previsto il suo destino era segnato.

O era arrivata la primavera in anticipo, o qualcuno dall’alto (e non era la ninfomane del piano di sopra) aveva deciso di farlo alzare con la luna storta, oppure le stagioni si erano sovvertite. Ultima teoria era la forza gravitazionale. Si era spostato durante il sonno dalla sua classica posizione a faccia in giù quel tanto che bastava affinché la luce stuzzicasse le sue palpebre.

Fatto sta che la lamella di luce lo aveva colpito esattamente nel suo punto debole e aveva preso a spallate Morfeo, che ancora lo cullava.

Guardò il cellulare con un occhio ancora impastato dal sonno e l’altro invece sveglio e pimpante. Il gruppo degli anestesisti-rianimatori “Al peggio non c’è mai fine” del Sisalvichipuò Hospital segnava settantadue sms.

— Minchia — disse. Stropicciò l’occhio ancora chiuso, poi cercò il pacchetto di Marlboro e ne accese una, seduto in mezzo al letto.

Iniziò a spulciare gli sms.

—Minchia! — ripeté, allungando la “a” finale.

Il premier Conte si era svegliato. Era il 5 marzo e il virus cinese che impestava il nord era davvero pericoloso e il consiglio dei ministri aveva deciso di mettere in stand-by l’Italia.

— Ve ne siete accorti solo ora, eh?

Si alzò, dopo aver scacciato le coperte. Mise i piedi a terra e non trovò le pantofole. La bocca era impastata per la bevuta colossale della sera prima. Con il suo amico Edoardo, scrittore e mantenuto, si erano scolati l’intero DOP. Un vuoto di memoria non gli consentì di collegare l’ultimo sorso di Vodka con il suo ingresso a casa. La testa sfrigolava come una vecchia locomotiva. Passò in cucina e ingollò un antiinfiamamtorio. La doccia era l’unico rimedio per darsi una svegliata prima del turno di lavoro. Appena il getto dell’acqua calda lo investì la sveglia iniziò a squillare.

— Coronavirus del cazzo, mi revocheranno le ferie!

Già, le ferie. Le aspettava dall’estate, quando era stato obbligato a consumare i giorni di allontanamento anestesiologico. Trattava da mesi con il suo primario per avere sette giorni di riposo e, nonostante il suo cartellino segnasse centoventidue giorni arretrati, sembrava quasi che gli facesse una cortesia.

— C’è carenza, dobbiamo garantire i LEA, ne vale della salute dei cittadini — gli ripeteva il suo primario, il dott. Muccalapuni, basso, tracagnotto e malato cronico di ipertrofia prostatica, culo e camicia col direttore sanitario aziendale e grande leccaculo dell’On Tony Curcuruto, esponente di spicco di Forza Calabria.

L’acqua lo riportò alla realtà e alla pandemia che presto avrebbe colpito anche il suo piccolo ospedale in provincia di Vibo Valentia, il Sisalvichipuò Hospital, incastonato tra Serra San Bruno e le spiagge di Pizzo.

— I LEA… la salute… la MINCHIA! Alla prima virgola fuori posto mi denunciano tutti: pazienti infami! — disse a voce alta, guardandosi allo specchio.

Si asciugò quei quattro peli che gli erano rimasti sulla testa, in compenso una barba folta e nera lo rendeva stronzo e impossibile.

“Anestesisti in grande affanno” era il titolo di uno dei numerosi articoli che girava sui social network.

— Fino a ieri eravamo gli specialisti più sfigati e adesso siamo i più gettonati dello stivale. Nemmeno medici eravamo considerati… ma andate a fanculo!

Accese la seconda Marlboro, si accomodò sul water e continuò a spulciare lo smartphone.

— Fino a trenta giorni fa non conoscevo nemmeno il mio nome. Adesso sono il più figo dell’ospedale. Allora mi presento: sono Piergiorgio Morfina e, indovinate? Sono un Anestesista-Rianiamatore!

©Antonino Genovese

In libreria “Scirocco e Zagara”

“Scirocco e Zagara” – Antonino Genovese – Pagg. 180 coll. I Tascabili Noir €12,90 Isbn 9788869434143

Mentre l’estate si affaccia sulla città di Barcellona Pozzo di Gotto, il maresciallo Gianluca Mariangelo mastica amaro. Il cadavere di padre Giovanni Rossi, noto alle cronache per i sui affari con la malavita locale e l’accoglienza dei migranti, viene trovato nella piscina della sua lussuosa villa. Mentre le alte sfere ecclesiastiche chiedono una rapida risoluzione del caso, il maresciallo Mariangelo e il brigadiere Fascia si fanno largo tra prostituzione, mafia, traffico di migranti e un progetto di accoglienza per orfani. Finiranno in una fiaba nera come la notte più buia, un inferno dal quale non vi è uscita e le nefandezze umane sono lame nel costato dei giusti. Nell’oscurità del crepuscolo le acque del lago si increspano. Una sirena, catturata nelle reti di un pescatore, è costretta a vivere lì, mentre un mostro a sei zampe la osserva, pronto a stringerla nella sua morsa. È proprio il mostro a stuzzicare la voglia di giustizia del maresciallo.  

Sullo sfondo della città di Barcellona Pozzo di Gotto, tra i sapori di una Sicilia che profuma di Zagare e granite, mentre il sole ottunde le menti e il sangue scorre, invadendo il letto del Longano, Gianluca dovrà sfidare la sua angoscia per il mare e salvare quel che resta del suo matrimonio con Giuseppina, desiderosa di un figlio e di vivere nella sua città natale: Lipari. È proprio nel mare della paura che si nasconde la soluzione alla prima indagine del maresciallo Mariangelo.

 “Scirocco e Zagara” di Antonino Genovese – Pagg. 180 coll. I Tascabili Noir €12,90 Isbn 9788869434143

In libreria: “Il Guardiano del tempo”

Il Guardiano del tempo“, sequel del fortunato romanzo per ragazzi “Il Nonno è un pirata – La lancia, il diadema e l’unico”, presentato al premio Strega Jr del 2017, sarà disponibile tra poche settimane in tutte le librerie Mondadori, negli store on line (IBS e Amazon), ma soprattutto nelle librerie indipendenti della provincia di Messina (e non solo).  In breve la trama: Ludovica riceve un messaggio dal Nonno: suo padre è vivo! Insieme al fidato Sasà Pennabianca, Angelo Poeta, Livio Lupetto, Alessia Campanella, lo zio Mario e Marcos, si catapulterà in una nuova avventura. Dovrà convincere il Guardiano per attraversare il portale del tempo e salvare suo padre, bloccato nel bel mezzo della guerra di Troia. Ce la farà la ciurma della Cantunera a tornare nel presente? Il vecchio libro che contiene strane mappe disegnate al suo interno è davvero così importante?Massimo Padua, autore della prefazione, recita quanto segue: “… risulta spassoso ritrovare i personaggi che abbiamo lasciato nel capitolo precedente, e qui Antonino Genovese è bravo a farci raccapezzare senza intaccare la soddisfazione di chi, pur non avendo letto il primo romanzo, si trova per le mani questo volumetto arricchito, ancora una volta, dalle splendide illustrazioni di Roberta Guardascione“.    
Nel libro si susseguono molti temi: il rapporto padre-figli, la diversità (come punto di forza e non di debolezza) e il tempo di cui non sappiamo nulla e possiamo solo dargli un senso. 

LA PROMESSA DEL MARESCIALLO, un racconto di Antonino Genovese

LA PROMESSA DEL MARESCIALLO

in tutti gli store on line – un racconto gratuito per presentare il maresciallo Mariangelo

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