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#3 Aida Sguaitamatti e l’urgenza programmata in tempo di coronavirus

Il conoravirus avrebbe causato molte vittime, di questo ormai Piergiorgio ne era certo. Ma al di là degli infetti e delle polmoniti intrattabili, molti sarebbero finiti sotto le grinfie dei becchini per una patologia tanto diffusa quanto misconosciuta: il cacazzo.

Anche Piergiorgio se la faceva sotto dalla paura. Non solo per quella di infettarsi e di finire con un tubo in gola a causa delle venti (dichiarate) sigarette al giorno, ma soprattutto lo inquietava il terrore di non potersi recare da Nonna Veronica, che lo riempiva di prelibatezze. Il freezer già iniziava a svuotarsi e, se l’isolamento continuava, sarebbe finita a mozzarella e scatolette. Altro che parmigiana di melenzane. I suoi addominali erano in pericolo. Ma meditava un piano b: nonna Veronica poteva tranquillamente lasciare i manicaretti da congelare nell’ascensore, evitando di correre il rischio di infettarsi. Senza la sua pancia da rianimatore non si sentiva se stesso. Avrebbe fatto questo sacrificio per tutelare l’immagine di tutta la categoria. Si ripromise di chiamarla nel momento in cui i viveri fossero davvero ridotti all’osso. Meglio non rischiare la salute della nonna. Si sarebbe rimesso in carreggiata una volta fronteggiata la pandemia.

Piergiorgio, come ogni sacrosanto giorno, varcò la soglia del Sisalvichipuò Hospital, ma quella mattina trovò una bella novità: nella stanzetta del timbro si entrava uno alla volta e bisognava mantenere un metro di distanza gli uni con gli altri. Dopo dieci minuti di attesa sfoderò il cartellino e iniziò ufficialmente il turno sotto gli occhi della dottoressa Gianna Apnea, il direttore sanitario di presidio fresca di nomina, premiata per le sue grandi qualità… sotto la scrivania dell’On. Curcuruto prima e dell’assessore regionale alla sanità dopo. Senza considerare le male lingue che urlavano a gran voce un suo passaggio sotto lo scrittoio (piccolo, ma comodo) del direttore generale. La dottoressa Apnea, mascherina sotto il naso, occhialino da professoressa e capello fresco di piega (con le parrucchiere chiuse Piergiorgio non si capacitava di cotanta ostentata perfezione) vigilava sul rispetto della distanza di sicurezza con un bastone lungo un metro.

— Dottore Morfina, dov’è la sua mascherina? Perché ne è sprovvisto?

La voce sgradevole lo riportò alla realtà, trascinandolo via dal sogno che stava facendo: la tavola cunzata a casa di Nonna Veronica.

— Direttore, buongiorno. Non credo che il mio reparto sia fornito di mascherine in abbondanza. Se ne troverò una, la indosserò.

— Oggi sono arrivate ben cinquanta mascherine. Non si lamenti e rispetti le regole.

Piergiorgio annuì. Non aveva voglia di iniziare il turno polemizzando.

Si voltò e squadrò la dottoressa Apnea: non si sarebbe fatto sfiorare nemmeno con un dito, né sotto, ma tantomeno sopra la scrivania.

Arrivato alla fine del corridoio, anziché continuare dritto verso la scala che lo avrebbe condotto in Rianimazione, svoltò a destra per passare dinanzi all’ufficio ticket. Marina era lì, seduta alla sua postazione. La osservava. Era bella. Una bionda (fausa) con occhi da cerbiatta. Non riusciva a schiodarle gli occhi di dosso. La donna era impegnata a discutere con una paziente gravida che doveva fare una visita in intramoenia con la sua collega ginecologa Aida Sguaitamatti, ricercatissima dalle pazienti, ma da evitare come la peste per il suo scarso appeal con i libri universitari: non li aveva mai aperti.

Quando Marina alzò gli occhi dalle scartoffie i loro occhi si specchiarono gli uni negli altri. Piergiorgio sentì che le gambe gli stavano crollando. Quando lei gli regalò un sorriso, lui alzò la mano destra e la salutò. Stava per tornare indietro e imboccare il corridoio per raggiungere il suo reparto, ma si sentì chiamare. — Dottore, dottore.

Piergiorgio si voltò. Era lei. Ebbe il dubbio che si stesse riferendo proprio a lui. Un anestesista che veniva chiamato “dottore” era cosa insolita. Ma i tempi stavano cambiando.

— Sì… sì… sono io.

Piergiorgio, cazzuto, cinico e stronzo rianimatore, iniziò a tentennare e si meravigliò di se stesso: non era da lui.

— Dottore Morfina, lei è un anestesista?

— Sono rianimatore, sì.

Piergiorgio non apprezzava essere etichettato come quello che addormentava e svegliava i pazienti. Il suo lavoro era ben altro. Definirsi rianimatore lo faceva sentire più figo, specie in tempo di coronavirus.

— Volevo chiederle una cortesia.

— Certo, ma a una condizione. Non sono poi così vecchio. Diamoci del tu e mi sentirò meno in imbarazzo.

— Certo, certo — disse Marina. Le sue guance si imporporarono.

— Come ti posso aiutare?

Marina si avvicinò al suo orecchio e Piergiorgio approfittò della vicinanza per assaporare il suo profumo. Ne fu subito certo: si trattava di Bottega Veneta. Il suo olfatto non mentiva mai. Poteva riconoscere ogni tipo di fragranza.

— Puoi procurarmi una mascherina FFP3?

Piergiorgio si sentì preso in contropiede. Ipotizzava altro: una cena in un locale romantico (post isolamento), un viaggio all’Allianz Stadium a vedere la Juventus (post riapertura campionati), una passeggiata in riva al mare (le spiagge il premier Conte le aveva chiuse o no?).

— Veramente… non penso che ne abbiamo… forse una… o due…

Il volto angelico di Marina si rabbuiò. Un velo di delusione le adombrò lo sguardo.

— Ma non ti preoccupare. Te ne procurerò una. Per me niente è impossibile.

Il sorriso carico di fiducia della donna ristabilì il suo equilibrio con l’universo.

— Grazie, Piergiorgio. Sapevo di poter contare su di te.

Avrebbe voluto baciarla, ma in tempo di isolamento non era il caso che si lasciasse andare in slanci d’affetto. Mentre Marina tornava alla sua postazione di lavoro Piergiorgio non poté fare a meno di radiografare il fondoschiena parlante su cui sperava di far morire, un giorno non troppo remoto, la sua mano.

La soddisfazione di averla resa felice per la prima volta durò il tempo delle scale, perché Gargamella sbraitava al telefono con la farmacista. I DPI sarebbero rimasti un sogno.

— Caposala, con che cosa ci proteggeremo dall’infezione? Arriveranno molti casi. Se raggiungiamo solo il 10% dei numeri della Lombardia siamo fottuti, lo sai?

— Ti rispondo in italiano così mi capisci: con una beata minchia!

— A me serve una FFP3.

— E per fare che?

— Fatti miei.

— Non ce n’è! — Gargamella non reggeva più lo stress. Ad ogni richiesta scattava come una molla.

— Ma possono lasciarci morire in questo modo?

— Ti ricordo che durante la seconda guerra mondiale ci hanno mandato in Russia con le scarpe di cartone. Ti meravigli se non abbiamo tute in Tyvek e mascherine FFP3?

— A me ne non me frega niente delle tute, mi serve una mascherina.

— Compratela in ferramenta!

Forse con Marina non avrebbe fatto cattiva figura. L’avrebbe conquistata. In tempo di coronavirus una FFP3 è più accattivante di un mazzo di rose rosse. Si allontanò senza degnare Gargamella di uno sguardo e si fiondò nella stanza del medico di guardia, lontano da orecchie indiscrete. Da quel guaio poteva tirarlo fuori solo il suo amico scrittore Edoardo. Compose il numero. Al terzo squillo rispose.

— Amico mio.

— Stai disturbando la mia ispirazione… — il tono sprezzante di Edoardo voleva significare solo una cosa: era in fase creativa.

— Scusa, ma è una cosa vitale.

— Sto scrivendo una scena importante del sequel del mio romanzo. Questi cinesi non mi avranno mai!

— Smettila con queste cazzate delle teorie complottiste. Nessuno vuole bloccare il tuo estro creativo. A proposito, come hai deciso di intitolare il secondo romanzo della tua saga?

— L’asiatica sulla scrivania.

— Originale.

— È un romanzo erotico a sfondo sociale. Ha alla base la lotta della società contro il vilipendio dei virus. Ma tu non puoi capire, del resto infili aghi nella schiena della gente e tubi tra le corde vocali.

— Ho bisogno di un favore. — Piergiorgio andrò dritto al sodo.

— Sono tuo amico, anche se mi hai tradito non leggendo il mio romanzo.

— Vai in ferramenta e compra una FFP3. — Piergiorgio ignorò l’offesa dell’amico.

— Una mascherina?

— Sì. Ma bada bene che sia FFP3.

— Ok.

— Fammi sapere se ne trovi. Vanno a ruba. In ospedale non ne abbiamo e la farmacia non sappiamo se ne fornisce.

— Consideralo fatto. In casa ne ho sei confezioni da cento.

— Cosa?

I quattro peli castani sul cranio di Piergiorgio si drizzarono.

— Con questo romanzo sfiderò i potenti del mondo e metterò in discussione le loro certezze. Ho pensato che dovevo proteggermi dai loro attacchi. Dopo il COVID19 ci sarà il COVID20. Devo essere pronto.

— Hai 600 mascherine a casa?

Piergiorgio immaginò il ghigno di soddisfazione dell’amico all’altro capo del telefono.

— Mettimene una da parte. Non fare lo stronzo.

— Ti aspetto dopo il lavoro, ma ora fammi lavorare. Ho molto da fare.

Piergiorgio stava per liberare il carattere calabrese fumantino, ma la chiamata per un cesareo di urgenza lo riportò al dovere.

Al Sisalvichipuò Hospital i tagli cesarei erano come le ciliegie: uno tirava l’altro. E per un anestesista di provincia che si rispetti erano pane quotidiano. Non ebbe il tempo di riagganciare la chiamata proveniente dal reparto di ostetricia che sentì urla provenienti dal complesso operatorio.

— Un cesareo. Un ceareoooooooooo.

Era Aida Sguaitamatti.

— Ma è urgente-urgente? C’è bradicardia? Sanguina?

— No.

— Ma che urgenza è? — chiese Piergiorgio.

La voce di gallina di Aida riempì l’antisala.

— Il cesareo è urgente. Vedi? Ti ho fatto il foglio — asserì la ginecologa, sbattendo la cartella sulla scrivania dell’accettazione. — E sul cesareo devi stare zitto. Decido io. Tu lo sai chi sono io?

— Una gallina che urla! — rispose Piergiorgio.

— Come ti permetti.

— Senti, io ti ho solo detto che la situazione non è così urgente da fare sto casino. Siamo in tempo di coronavirus e la dovreste smettere con le finte urgenze programmate dal giorno prima!

— La signora è già pronta, digiuna da ieri sera — affermò Aida Sguaitamatti, trotterellando.

— Ah certo! Hai visto che mi prendi in giro? È programmata e me la passi d’urgenza!

Piergiorgio girò i tacchi e si diresse verso l’accettazione. In tutti gli ospedali d’Italia l’anestesista era considerato lo zerbino. Ma i tempi stavano cambiando. Se si fosse trovato a decidere chi intubare o no per carenza di posti, avrebbe preferito la dottoressa Apnea alla Sguaitamatti. E con questo pensiero aveva esplicitato quanta stima nutriva nella ginecologa.

— Sbrigati! Non perdere tempo. — Aida continuava a urlare.

— Devo visitarla, far firmare il consenso. Stai calma e non urlare.

— Tu, dico a te! — La ginecologa si rivolse all’infermiera.  — Il tavolo è pronto? Hai avvisato il Nido?

Piergiorgio rideva di sottecchi. La verità era una: Aida Sguaitamatti sarebbe stata una vittima, ma il coronavirus le sarebbe stato lontano, acida per com’era. A lei ci avrebbe pensato il ben più temibile cacazzo!

© Antonino Genovese