# 8 L’amore ai tempi del COVID19

Piergiorgio lasciò che la stanchezza lo cogliesse impreparato. Bevve l’ultimo sorso di birra Messina cristalli di sale e accese una Marlboro. Il campanello squillò senza preavviso, rompendo il silenzio grazie a cui aveva trovato il suo equilibrio mentale, tra il pensiero di Marina e una FFP3.

Voltò lo sguardo verso il campanello. Non poteva aver suonato. Se l’era immaginato. Non aspettava nessun corriere. Non aveva una fidanzata. Sua madre era rinchiusa a Cosenza e non poteva muoversi. E i suoi amici sgattaiolavano come topi dagli appartamenti per fare la spesa una volta a settimana (dichiarata) o portare il cane a fare la pipì ventiquattro volte al giorno.

Accese la Marlboro e di nuovo il campanello squillò. Non era un’illusione. Odorò la sigaretta: era tabacco.

— Chi è? — chiese al citofono.

— Sono Marina.

Che ci faceva sotto casa sua?

Spense la sigaretta. Spazzò via dal divano le bottiglie di birra e le altre cianfrusaglie. Marina era andato a trovarlo in barba a tutti i DPCM, ordinanze, sindaci metropolitani e disposizioni di servizio. Il suo cuore si tuffò in una piscina ricolma di miele. Rassettò in pochi minuti, gettando tutto nella pattumiera. Poi volò in bagno per una spruzzata di Sauvage. Odorò le ascelle: potevano andare! Non aveva tempo per cambiarsi. I passi di Marina sul pianerottolo si facevano sempre più vicini. Prese un respiro profondo e aprì la porta nel momento esatto in cui la donna stava dinanzi a lui. Era fantastica. La mascherina le copriva il naso e la bocca, ma gli occhi brillavano di una luce primaverile.

Piergiorgio restò immobile, imbambolato come quando aveva visto La Venere di Botticelli agli Uffizi di Firenze e non si era mosso per parecchi minuti, incantato da tanta bellezza. Una sensazione che ti paralizza, non riesci a parlare e respiri solo perché è un processo involontario.

— Posso entrare?

— Certo. — Piergiorgio rinsavì, poi si spostò, indicando il piccolo salotto.

— Ti posso offrire qualcosa? — chiese, togliendo l’ultimo numero di Dylan Dog dal divano.

Marina si accomodò con eleganza. Il suo profumo era un uragano. Il cuore di Piergiorgio galoppava, sembrava Furia il cavallo del West. Si ricordò che il frigo era vuoto, ma una bottiglia di Valdobiadene lo salvò in calcio d’angolo.

— Fai tu — disse la donna, mentre lo scrutava.

Piergiorgio stappò la bottiglia e poi disse: — A cosa brindiamo?

— Alle parole che mi hai scritto. Sono bellissime. Sono venuta per dirtelo di persona. Non mi andava di scrivertelo in un sms!

— Marina, io…

Piergiorgio si avvicinò. Gli occhi di lei erano languidi e le labbra, coperte da un rossetto rosso fuoco, umide e sensuali.

— Piergiorgio, io…

E si fici a frittata.

Lui le prese le guance tra le mani e la baciò, e pensò che quello era per lui il primo bacio, come se fino a quel giorno non avesse mai amato. Si perse nelle distese sconfinate del suo corpo, affrontando curve repentine e mozzafiato, guidando con una mano sola, mentre tutt’intorno la casa, il divano e la città stessa scomparivano. Insieme a lei, in quel connubio di corpo e mente, pazzo e sregolato, si sentiva finalmente parte dell’universo.

Pace.

E la primavera era arrivata, puntuale. E aveva scacciato via l’inverno gelido che lo aveva investito.

E chi se fotteva del virus cinese!

Che non era solo sesso lo aveva compreso subito. Sotto l’involucro (meraviglioso) c’era qualcosa che lo attirava ancora di più: un ciriveddu e un cuore.

Da quella sera niente sarebbe stato più come prima. Il cibo non avrebbe avuto lo stesso sapore e persino la luna e le stelle avrebbero brillato in maniera diversa.

Si ritrovò solo a riflettere, mentre iniziava il suo turno di notte. E pensò che si era rincoglionito davvero. Per Marina aveva preso un muro di faccia ed era rimasto schiantato.

Ma poteva mai innamorarsi una come lei di uno come lui?

E soprattutto poteva uno stronzo patentato come lui innamorarsi? Era un cinico e freddo rianimatore. E non era previsto che perdesse la testa per una bionda fausa!

Iniziò il turno di notte con il suo solito rito scaramantico. Un pugno di sale ai quattro angoli del nosocomio, una spruzzata sulla testa e una sulla divisa. Ma sapeva già che sarebbe stata una notte di merda: all’ingresso aveva incontrato Nadia Canotto, l’ostetrica con le tette che parevano un salvagente. Per mantenerle in forma ci voleva il fisico e, nonostante i cinquant’anni, pareva le tenesse ancora su con reggiseni a forma di balcone in cemento armato. Ma aldilà del seno prosperoso, Nadia aveva un difetto: portava Sfiga. Ma non sfiga, bensì Sfiga con la s maiuscola. E non era stato ancora forgiato un amuleto che riuscisse a contrastare la sua potenza.

— Buonanotte, dottore!

Buonanotte, un cazzo! Si era lasciato andare in gesti scaramantici di ogni tipo, sale in abbondanza, aveva messo in tasca un corno rosso, aveva accarezzato il ferro di cavallo (eredità di nonno Turi), che teneva nell’armadietto per i casi disperati. Niente! Non c’era verso. Quando Nadia Canotto salutava… la notte era persa!

A fargli compagnia in quella serata di sventure c’era Pippo Bibita: alto, secco, asciutto. La capigliatura a casco di banane era tenuta in sesto da una fitta impalcatura costruita con gel e altre diavolerie cosmetiche.

— Piergiorgio, guarda che ti faccio vedere! — disse, mostrandogli il cellulare.

— Stiamo a un metro.

— E dai… questa è la mia ultima conquista: si chiama Rosalinda.

— Una mora?

Pippo annuì.

— Ma non ti piacevano le rosse?

— Guarda, ti dirò. Ho iniziato con le bionde, ma sai… sopra erano bionde e sotto… non sempre, ho continuato con le rosse, ma sai… troppe lentiggini e poi, sei rianimatore pure tu, i “rossi” hanno sempre problemi sotto anestesia.

— E ora sei passato alle more?

Pippo Bibita annuì.

— Da quando c’è il coronavirus dico a tutte che sono rianimatore e… indovina? Me la vogliono dare. Io dico: no, no, no… e loro invece insistono… non sai che fatica!

— Immagino.

— Alla mia nuova fiamma ho regalato l’i-phone 11 pro.

— Già che c’eri e hai tutti sti soldi da buttare per una storia che durerà non più di un mese potevi anche regalarle l’11 pro max!

— E qua ti sbagli, — disse Pippo con uno scintillio febbrile negli occhi azzurri, — l’i-phone è 11 pro… il max ce l’ho io in mezzo alle gambe!

Poi si lasciò andare in una risata fragorosa.

— Indossa bene la mascherina, non vedi che ti cade?

— Ce l’ho da sei giorni, la farmacia le dà col contagocce, — rispose Pippo, tornato serio.

Piergiorgio pensava a Marina, non voleva togliersi di dosso la sua fragranza.

Mentre l’orologio in cucina segnava mezzanotte e l’idea di averla fatta franca alla buonanotte di Nadia Canotto prendeva forma nella sua mente, squillò il telefono. Il taglio cesareo, che in tempi di normalità era considerato una grande rottura di scatole, quella notte fu una benedizione. E anche il taglio cesareo successivo non fu visto in maniera ostile. Un cesareo tira l’altro come le ciliegie. Per fortuna non c’era di turno Aida Sguaitamatti!

La mattina seguente Piergiorgio si sentiva mezzo miracolato. Aveva persino riposato due ore.

Ma i quattordici giorni di isolamento del primario erano terminati. Quando vide Muccalapuni entrare in cucina con la sua faccia da pugile, il corpo tozzo, il collo assente e l’orrendo riporto di capelli tinti con un colore innaturale che tendeva all’arancio, comprese in quel momento che la buonanotte di Nadia Canotto non lasciava scampo.

— Dottore Morfina, dove va? — disse, con la voce da fumatore incallito.

— Smonto.

— Chiama Gargamella, ho deciso di rivedere il percorso COVID.

— Ma se lo avete fatto insieme telefonicamente.

— Sì, ma vedi? Non ho niente da fare oggi, e quindi rompo le palle.

Gargamella entrò, trafelato. Occhiali, mascherina e cappellino perfettamente indossati. Ma il telefono di Muccalapuni squillò con l’inconfondibile colonna sonora di Nove settimane e mezzo. Era l’on. Curcuruto.

— Come dici?

— …

— Non ci sono ventilatori sul mercato?

— …

— Non ci sono nemmeno soldi?

— …

— Alla stampa devi dire che siamo pronti, tranquillo ti copro io. Il Sisalvichipuò è pronto!

— …

— Mi serve personale? No, assolutamente no. Ho quattro ragazzi volenterosi che sono ben felici di prenderla nel didietro.

— …

Muccalapuni rise.

— … (risata)

— Non consumeremo lubrificanti, stai sereno!

— … (risata)

— Ne approfitto per chiederti una cosa? La mia nomina a capo dipartimento… anticipiamola! Che ne pensi?

— …

— Grazie grazie grazie.

Muccalapuni chiuse la telefonata con un sorriso che mise in evidenza gli effetti della nicotina sul suo apparato dentario e gengivale.

— Allora, Caposala Gargamella!

— Primario, mi dica. Noi abbiamo sistemato alla meglio seguendo le sue indicazioni e quelle del facente funzione.

— Sei stato bravo, ma dobbiamo rifare tutto.

— Tutto?

— Tutto!

Piergiorgio si intromise: — Ma guardi che stiamo rispettando le linee guida, compatibilmente con la struttura.

— Qualcuno ti ha detto di parlare, Morfina?

— No, ma…

— Ma comando io! — Muccalapuni sbatté il pungo sul ripiano della cucina.

Piergiorgio e Gargamella si lanciarono un’occhiata rassegnata.

— Modificheremo due o tre cose. Faremo foto, video, dichiarazioni. Gargamella, chiama l’ufficio stampa. Noi siamo pronti per l’emergenza COVID.

— Sì, primario. Glielo dica all’onorevole.

— Cosa?

— Che non abbiamo nemmeno gli occhi per piangere!

© Antonino Genovese

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *