#6 Sms, conversazioni telefoniche e un amore sconsiderato

Piergiorgio restò imbambolato dinanzi alla BMW serie 6 nera fiammante, parcheggiata dinanzi all’ingresso del Sisalvichipuò Hospital. Si grattò la testa e corrugò la fronte. Osservò il cielo. La primavera non poteva sapere che un virus letale e altamente contagioso si spandeva dal nord al sud dello stivale e mieteva vittime come niente fosse. Il sole splendeva alto in cielo e riscaldava le sue membra assuefatte. Gonfiò il petto. Si sentiva importante. Per una volta nell’arco della sua carriera non ragionava più sui turni festivi o sulle notti insonni, ma aveva assunto quel ruolo che da sempre competeva agli anestesisti-rianimatori. Altro che medicina dei servizi. Si ripromise di scrivere una lettera al ministro per far togliere quella dicitura ignobile. Da un mese ormai i ginecologi, i chirurghi e i vascolari non rompevano con false urgenze, tranne chi aveva lasciato i libri all’università e non comprendeva il momento storico che stavano vivendo.

Piergiorgio amava il mare in tempesta. Il suo posto era sempre stato sulla cresta dell’onda. E tutte le storie d’amore che aveva avuto, i flirt le mezze toccate di minne erano passi che lo conducevano a lei: Marina, che rappresentava la metà della sua mela. Sarebbe stata perfezione accanto a lui in mezzo alla spuma del Tirreno. Lo sentiva. La percepiva aldilà dell’involucro. E il suo sesto senso non sbagliava mai, sia in sala operatoria, sia quando si imbatteva nel meraviglioso profumo di Marina. 

La BMW era lì e lo guardava con occhi di sfida.

— A noi due — mormorò Piergiorgio, prima di accarezzare il chiodino d’acciaio.

Umberto Desiderio, questo è per aver cenato con Marina, pensò.

Mosse due passi verso il SUV, controllò che nessuno lo stesse osservando. Il parcheggio era deserto, vedere gente in giro era utopia; ad eccezione del quarantenne che faceva jogging con indosso una bella FFP3 e che aveva mandato a strabenedire qualche minuto prima di varcare la sbarra dell’ospedale.

Stringeva in mano il chiodino appuntito. Era a pochi centimetri dalla carrozzeria immacolata, pronto a sancire la sua vendetta, ma fu in quel momento che il suo telefono vibrò.

Chi poteva essere?

Si paralizzò quando lesse il mittente del messaggio: Marina.

Spero di vederti in ospedale. Ho ripensato al tuo invito e ho deciso che a cena voglio andare solo con te.

Mai buongiorno fu tanto gradito. Si sentì in un fumetto: due ali alle caviglie lo portarono a un metro da terra. Il sole che prima lo riscaldava, adesso gli strizzava l’occhio e il cielo azzurro della sua Calabria lo avvolse in un abbraccio. E si sentì in pace con l’universo. La carrozzeria era salva, per adesso. L’operazione chiodino d’acciaio non era annullata, ma rinviata. Desiderio aveva un conto in sospeso… per sempre! Ma in testa gli balenò il tabellone allo stadio: Morfina 1 – Desiderio 0.

Piergiorgio non rispose all’sms, ma si precipitò dentro e fece la fila al timbro, poi si diresse all’ufficio ticket. Dietro il vetro Marina era assorta e non si accorse che lui le andava incontro. I capelli le coprivano in parte il volto e scendevano morbidi come seta sulle spalle. Si avvicinò così tanto allo sportello che trasalì quando la signora Anna tossì.

— Buon… buongiorno — disse Piergiorgio, che avvampò. Il suo volto tondo divenne rosso come un pomodoro cuore di bue.

— Dottore, ha bisogno di qualcosa? Come mai si trova ai piani bassi?

Anna, una mora cinquantenne dal volto gentile e gli occhi scuri e impenetrabili, sorrideva, sorniona. Piergiorgio capì che lo aveva visto imbambolato, completamente incantato da Marina.

— No.. No… insomma… passavo di qui…

— Per caso?

Piergiorgio era imbarazzato. Non riusciva ad elaborare una delle sue proverbiali risposte, che lo avevano sempre tirato fuori dalle situazioni spinose. Marina era il suo tallone d’Achille.

— Volevo chiedere un’informazione… ma Marina è impegnata.

— Io sono libera. — Anna sorrise.

— Sì… ehm… allora… io… — Piergiorgio iniziò a contorcersi le mani, mentre l’incendio continuava a divampare sul volto.

— Allora? — Anna sembrava divertita. Si prendeva gioco del rianimatore. Ma Piergiorgio non riuscì a scriverla nella lista nera di coloro che non avrebbe intubato durante la pandemia. I modi gentili della donna la annoveravano tra i salvabili.

— Ecco… sì. Mi serve un ricettario. — Era una proverbiale minchiatuna ca pala, ma non gli venne in mente altro.

— Gli ambulatori sono chiusi, ma se proprio ne necessita un altro, dovrebbe consegnare quello vecchio.

— Grazie dell’informazione, sa che faccio? Aspetto che la sua collega si liberi così mi faccio spiegare meglio.

Anna sorrise e poi mimò un cuore con con indici e pollici.

Piergiorgio sorrise, imbarazzato. Si sentì come se fosse nudo di fronte a cento donne.

— Senta, posso chiederle una cortesia? — sussurrò poi, — non dica a nessuno che sono innamorato. Sono un cinico, freddo e stronzo rianimatore di provincia. Potrei rovinarmi la piazza.

Anna rispose con un occhiolino, poi disse: — Continuo io col signore, il dottore ha bisogno di parlare con te.

Marina alzò lo sguardo dalle impegnative. Il broncio da bambina viziata lasciò il passo a un sorriso delizioso. Piergiorgio fu colto dalla voglia di afferrarle il volto e stamparle un bacio (sbattendola al muro!), ma si limitò a dire: — Ciao.

— Ciao — rispose Marina.

Quella sua voce era l’unica che voleva sentire tutte le mattine quando si svegliava. Piergiorgio rinsavì. Si era rincoglionito per due occhi da cerbiatta e un culo parlante (che quella mattina non aveva potuto ammirare)! Non poteva essere solo quello.

— Sono passato a salutarti.

Anna li osservava con occhi da sentinella. Piergiorgio si sentì squadrato e controllato e si mise sull’attenti, come se si trovasse in una caserma e fosse sotto esame dal suo superiore.

— Grazie del pensiero.

Un silenzio imbarazzante frugava nella mente di Piergiorgio.

Allora … ci sentiamo.

— Ti aspetto — disse Marina.

Piergiorgio rafforzò il saluto con un cenno della mano e raggiunse il reparto, saltellando.

Il clima che regnava in Rianimazione era di allerta e tensione. Le discussioni sempre le stesse: tamponi che non arrivavano, ventilatori limitati, maschere da sub modificate per CPAP.

Gargamella, sempre più incazzato col mondo, cercava soluzioni: vecchi ventilatori diventavano funzionanti, attacchi dell’ossigeno venivano installati alle pareti, e poi percorsi sempre nuovi per l’emergenza. I casi in Calabria aumentavano: dovevano essere pronti. La paura di poter contrarre la malattia aleggiava, ed era peggio dei turni massacranti e delle ferie revocate. Tutti avevano qualcosa da perdere. Il coronavirus aveva azzerato le certezze, alimentato l’angoscia e resettato tutte le abitudini.

Piergiorgio iniziò il turno di emergenza, sperando che non arrivassero COVID. Aveva trovato Marina e si era imbattuto in qualcosa che soltanto una volta si incontra nella vita: l’amore. E non voleva rinunciarci. Mai più.

Piergiorgio si isolò, altrimenti l’ansia lo avrebbe assalito. Un po’ di sano cazzeggio su Facebook lo avrebbe tranquillizzato. I suoi amici si erano trasformati tutti in provetti panettieri e pizzaioli, per non parlare di una grossa fetta di analfabeti che si erano immedesimati in virologi di grido. Persino l’onorevole Curcuruto continuava a postare minchiate. Passò oltre. Non aveva voglia di incazzarsi con politici e burocrati.

La sua attenzione fu catturata da un articolo: l’ospedale di Vattelapesca, nel cuore della Lombardia, era in affanno. Mancavano rianimatori. Per un istante pensò che era il momento di partire e dare una mano lì dove c’era bisogno. Che ci faceva rinchiuso in un ambulatorio come un codardo? Ma il suo posto era lì: al Sisalvichipuò Hospital.  E doveva pensare alla sua gente.

Una lacrima gli rigò la guancia. Al Vattelapesca lavorava Oreste Trepalletreteste, suo amico e collega. Compose il suo numero e lo chiamò. Si salutarono, commossi.

— Come stai?

— Sono sfinito. Lavoriamo giorno e notte. Combattiamo un nemico invisibile.

— Sto vedendo sui giornali e in TV.

Dopo una breve pausa Oreste chiese: — Com’è la situazione laggiù?

— Speriamo di contenere, altrimenti non avremo scampo.

Piergiorgio immaginò Oreste annuire.

— Ve lo auguro. Questa pandemia è una tragedia senza precedenti. La gente muore sola, lontana dagli affetti. Senza un amico o un parente che possa stringergli la mano. Senza nessuno che pianga al funerale.

Oreste trattenne un singulto.

— Come posso aiutarti?

— Non c’è modo. La stanchezza dopo diciotto ore si sente. Non abbiamo più posti letto e ieri… ieri…

— Cosa è successo? — Piergiorgio non nascose l’apprensione.

— Ho dovuto scegliere se intubare un giovane o un altro meno giovane.

— Meno giovane? Che intendi?

— Tra un quarantenne e un cinquantenne.

Piergiorgio non riuscì a replicare. Non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione.

— Non è stato facile…  — riprese Oreste.

— Cosa possiamo fare?

— Prega, amico mio.

— Io non credo a niente, lo sai.

— Nemmeno io.

— E allora?

— Trova la fede, altrimenti trova qualcuno che preghi per te.

La fine del turno arrivò. E fu sera. Solo nella sua casa le ombre del coronavirus aleggiavano insieme alle parole di Oreste. Per Piergiorgio non ci fu modo di prendere sonno.  La radiosveglia segnava le due quando lo smartphone squillò. Era un sms di Edoardo e recitava così: ecco la poesia per la tua bella.

Seguì una foto col testo.

Il tempo. Vorrei donarti il tempo

e sorrisi senza pianti,

giornate senza nuvole per passeggiare

e piovose per fare l’amore,

vorrei regalarti la felicità

e la vita che c’è nello sguardo acerbo di un bambino,

vorrei donarti la quotidianità

fatta di sguardi, senza promesse non mantenute,

e l’amore a modo mio,

fatto di incertezze e sbagli, carezze e abbracci,

vorrei donarti la mia anima

affinché tu possa percepire

qual è il vero regalo che voglio farti.

Il mio tempo, con te.

Piergiorgio rimase stupito. Anche Edoardo aveva un animo delicato e sensibile, nascosto dietro la scorza dura da scrittore underground.

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