#10 E’ primavera, Piergiorgio

Quando si arriva in fondo a una storia l’emozione è forte per ciò che si è provato nel percorso che ha condotto alla fine. Questo racconto a puntate mi ha permesso di scavare dentro il mio animo e di sfogare ansie e preoccupazioni, ma anche di divertirmi insieme a Piergiorgio ed Edoardo. Molti di voi mi chiedono chi sia Marina, o Gargamella, o gli altri personaggi di questa storia. Preciso che è tutto frutto di fantasia, che non esiste nessuno di loro o forse sono tutti reali! Di vero ci sono i sentimenti che hanno condotto alla fine, che probabilmente è solo l’inizio.

Dedico il capitolo 10 a Clara, nata il 7 aprile 2020 alle ore 21.48 e ai miei amici Pietro e Teresa. Grazie, Clara, per avermi fatto superare le mie paure.

Se non fosse stato per l’improvviso rialzo delle temperature, Piergiorgio non si sarebbe accorto che la primavera era arrivata.

Il mondo girava senza percepire ciò che stava accadendo. Era il sette aprile e sembrava un giorno come un altro. Trascorrevano tutti uguali, inesorabili. La vita era cambiata. Molte aziende erano sull’orlo della bancarotta. La popolazione soffriva e aveva fame. E non c’è niente di più pericoloso di un popolo affamato. Al sud una buona fetta dei cittadini viveva di lavori in nero, retribuito a giornata, ma le restrizioni dello Stato non consentivano nemmeno di uscire di casa, figurarsi andare a lavorare.

Piergiorgio attraversò il marciapiede, quando una volante della Polizia di Stato lo accostò.

— Buongiorno. — Il poliziotto abbassò il finestrino e lo squadrò dai capelli (pochi rimasti) ai piedi. Era un cinquantino con le spalle di Sylvester Stallone, i bicipiti di Arnlod Schwarzenegger e la pancia di Bud Spencer.

— Buongiorno.

Dove sta andando? — chiese, con in volto stampato il ghigno di chi ha beccato un altro trasgressore.

— In ospedale.

— Se ha la febbre non può.

— Non ho la febbre, sto bene.

— Potrebbe essere asintomatico.

— Non sono malato.

— E allora mi dia un documento. Lei sta commettendo un illecito. — Il poliziotto aprì lo sportello e fece per uscire dall’abitacolo con fare minaccioso.

— Io sono un rianimatore.

Il tempo si fermò.

— Come ha detto? — chiese il poliziotto, con gli occhi sgranati.

— Ha sentito bene: sono un R I A N I M A T O R E.

— E dove lavora?

— Al Sisalvichipuò.

— Mi scusi se l’ho importunata e mi scusi se le sto facendo perdere tempo. Vada pure e buon lavoro.

Il poliziotto salì sull’Alfa d’ordinanza.

— Se vuole le mostro il tesserino.

— No, vada vada. Anzi la scortiamo noi con la sirena.

— Non è necessario. Non c’è traffico.

— Insisto.

— Faccia come crede, ma…

Non ci fu verso. Piergiorgio raggiunse l’ospedale a bordo della sua utilitaria, preceduto dalla Polizia a sirene spiegate.

Il 2020 era stata la svolta per i rianimatori. Piergiorgio entrò in ospedale camminando sulle acque, a discapito dei vangeli.

Al Sisalvichipuò Hospital il tempo trascorreva inesorabile, mentre l’on. Curcuruto, nella sua villa con capitelli d’oro intarsiati e piscina olimpionica, sparava minchiate a raffica sui social network, adescando folle impazzite, desiderose di mettere like e di commentare in un italiano da quinta elementare ogni genere di notizia.

Il dottor Muccalapuni nel frattempo percorreva il perimetro della sua stanza, attendendo la nomina a direttore di dipartimento. Non avrebbe mai più detto di no all’on. Curcuruto, suo intimo amico: calzoni calati e culo a ponte, nei secoli dei secoli. Amen.

Piergiorgio era silenzioso. Guardava lo Smartphone. Marina non rispondeva ai suoi sms. Era irritata per quanto accaduto il giorno prima con Uberto Desiderio e il repentino soccorso che gli aveva negato. Ma alla fine dei conti il risultato era stato una pantomima da premio Oscar alla faccia di Benigni. La messa in scena era stata orchestrata per conquistare il cuore di Marina, ma era finita male. Piergiorgio era riuscito a spuntarla, ma la bionda fausa era un osso duro. Aveva un caratterino indomito e aveva bisogno di tempo per sbollire l’incazzatura. Non poteva nemmeno abbonirla con un mazzo di fiori, perché qualcuno aveva rubato le rose che la sua vicina di casa curava nel giardino. Era anche uscito un articolo su 24calarialive che alludeva a un ladro impavido che addormentava i cani per derubare i fiori. L’isolamento era anche questo: follia!

Marina era il culo più bello del Sisalvichipuò ed era sua: proprietà privata di Piergiorgio Morfina, anestesista-rianimatore del Sisalvichipuò Hospital. Il primo che l’avesse sfiorata con lo sguardo, sarebbe finito a testa sutta e pedi all’aria.

Lo Stromboli fumante era lo spettacolo che si vedeva dalle finestre della rianimazione. Quel panorama mozzafiato era stato il motivo principale per cui Piergiorgio aveva scelto come sede del contratto a tempo indeterminato Pizzo Calabro. Ma quella scelta gli aveva regalato Marina. E tanto bastava per renderlo il rianimatore più ricco del mondo.

Cazzeggiava sui social e fumava una Marlboro attraverso la mascherina chirurgica, mentre si sentiva nella poesia “Soldati” di Ungaretti: Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. Nonostante fuori la primavera imperversava impertinente, lui si sentiva in bilico, pronto a rischiare la sua salute e quella dei suoi cari per un virus bastardo.

In quel momento arrivò il primo sms, ma lo ignorò. C’era l’isolamento e tutti inviavano catene di S.Antonio e vignette che lo facevano piangere anziché ridere.

Poi un altro sms.

E un altro.

Alla fine il telefono squillò. Era Edoardo, il suo amico scrittore.

— Come è andata?

— Cosa?

— La poesia, rimbambito!

— Bene. Sei stato fantastico. Poi dovrai dirmi a chi erano realmente dedicati quei versi.

— Sono uno scrittore maledetto e non so cosa sia l’amore — precisò Edoardo.

— Puoi far credere quello che vuoi e metterti la maschera che preferisci, ma non insultare la mia intelligenza. Tu sei innamorato perso! — Piergiorgio allentò la mascherina. Non la sopportava più.

— C’è una donna che mi piace, sì… è vero… ma… è gravida!

— Minchia! Sei nella merda, amico mio!

— E me lo hai tenuto nascosto! — Piergiorgio saltò dalla sedia. Accese l’ennesima sigaretta della giornata e fu assalito dalla voglia di bere. Quello sì che era uno scoop!

— E che dovevo fare? Non avresti capito… ma ora anche tu hai il cuore nello zucchero!

— Siamo due diabetici inguaribili! — disse Piergiorgio.

Poi risero.

— Ti chiamavo per una cortesia.

— Certo. Spara!

— Lei si chiama Sara, ha ventisette anni. Per ora è sopra. Ha dolore. Dilatazione 3 cm, collo appianato.

— E tu? Dove sei?

— Che domande fai! Ho un po’ di tosse e non mi fanno entrare. Sono asserragliato in casa!  — Il tono di voce di Edoardo si incupì.

Piergiorgio aspirò forate dalla sigaretta. Poteva solo immaginare lo stato d’animo del suo amico.

— Dovresti salire sopra e falle quella stregoneria che sapete fare voi rianimatori.

— Cosa?

— La partoanalgesia.

— Ma noi qui non la facciamo, siamo pochi, non possiamo… ci siamo sempre rifiutati…

— Non te lo chiederei se non fosse importante per me.

Piergiorgio non esitò. Spense la cicca nel posacenere, poi disse: — Va bene, amico mio!

L’ostetricia era al terzo piano. Piergiorgio evitò di incrociare Nadia Canotto, sarebbe stata una peridurale ficcata chissà dove. Si imbatté in una giovane moretta con i capelli a caschetto (che se la tirava manco fosse Madonna) di cui non ricordava il nome. 

— Ciao, sono qui per…

— Per?

— … una mia amica…

— Come si chiama?

Come minchia si chiamava? Nemmeno il cognome si era fatto dire da Edoardo.

Prese lo smartphone e stava per comporre il numero, ma il suo amico era stato più lesto e lo aveva informato tramite sms

— Sara Addis — disse Piergiorgio, dopo essersi rassettato la maglietta nera, che lo snelliva di una taglia.

— Sì, mi segua.

— Gradirei fare l’analgesia in travaglio di parto.

La moretta lo guardò, dopo essersi fermata in mezzo al corridoio.

— Ma lei lo sa che non ne facciamo perché quelli come voi non hanno mai dato il benestare perché sotto organico?

Come darle torto.

— Sì… lei ha ragione… però… questa è una mia amica.

— Ancora peggio! Ancora peggio! Una raccomandata! —  La moretta iniziò a martoriarsi i capelli.

— Senti, me la fai fare o no?

— Faccia quello che vuole!

Sara Addis era una grandissima scassaminchia e non comprendeva come Edoardo se ne fosse innamorato. Si lamentava per la vena, per la peridurale, per il dolore, persino per la gravidanza.

— Cosa nasce? — chiese Piergiorgio per rompere il ghiaccio.

— Una femminuccia.

— E come la chiamerà?

— Artemide.

— Come mai?

— Chiedilo al tuo amico!

— Lui è fissato con i miti greci. Lo so…

Sara Addis era sola. Purtroppo anche le nascite avevano subito una netta secessione tra ciò che si faceva prima della pandemia e ciò che si faceva dopo. Niente fiori e regali, ma soprattutto niente stanza piena di gente che bacia e accarezza puerpera e prole. Niente prosecco (ma solo perché Edoardo era taccagno) e niente familiari fuori.  Artemide sarebbe nata con la sua mamma e al nido non la avrebbe vista nessuno.

La peridurale andò bene. Per Piergiorgio fu una delle migliori partoanalgesie che avesse mai fatto. Ci aveva messo tutta l’attenzione possibile.

— Grazie, Edoardo ha un amico speciale.

Piergiorgio sorrise e mosse piccoli passi verso l’uscita. Una delle cose che lo facevano commuovere erano i parti. Piccole creature che prendono vita. Per un istante avrebbe voluto essere ostetrico, chissà che ebrezza tenere in braccio quei marmocchi morbidi intrisi di purezza. Artemide che ne poteva sapere della pandemia?

In quel momento si sentì chiamare. Era l’ostetrica.

— La prenda in braccio.

Piergiorgio tremava. Era freddo, cinico e stronzo, ma dinanzi al mistero della nascita tornava il mammalucco imbambolato davanti a Marina. Allungò le braccia e la strinse a sé. Era piccola e morbida. Lacrime calde gli rigarono le guance, mentre fuori lo Stromboli iniziava a mormorare. Quella nascita rappresentava la speranza di quel domani che sarebbe stato per lui la felicità che aveva sempre sognato e inseguito, ma che non aveva mai colto.

Lo smartphone squillò. Era un sms che recitava: ti amo. Anche un carattere indomito come quello della bionda poteva essere mitigato dal sentimento più grande che esiste: l’amore.

Si specchiò negli occhi nocciola della piccola Artemide e vide dentro il suo domani: mano nella mano con Marina, mentre dinanzi a loro l’orizzonte non sembrava per niente distante. 

E non ebbe più paura.

FINE

© Antonino Genovese

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