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La notte del Liceo Classico
/0 Commenti/in Articoli /da adminDelitti e Maestrale ospite il 5/5/2023 alla Notte del Liceo Classico Luigi Valli di Barcellona Pozzo di Gotto. Una serata magnifica all’insegna del giallo e del noir organizzata dalla professoressa Anna Russo e in collaborazione con la professoressa Sclafani.
Circolo Thalatta di Messina
/0 Commenti/in Articoli /da adminContinua il tuor di Delitti e Maestrale che incontra i lettori appassionati di gialli e noir.
Il 15/2/2023 si è svolta a Messina una bella serata di letteratura grazie a Milena Romeo.
A toccare i punti salienti del romanzo anche Giovanni Caminiti e Francesco Benedetto. Letture di Gianni Di Giacomo.
Delitti e Maestrale a Milazzo
/0 Commenti/in Articoli /da adminGrazie alla consigliera comunale Fabiana Bambaci, al sindaco di Milazzo Pippo Midili e all’assessore Roberto Mellina per avermi accolto nella meravigliosa cornice di Palazzo D’Amico, a Maria Concetta Sclafani e Cristina Saja per avermi accompagnato in un bell’excursus su Delitti e Maestrale a tinte gialle, grazie alla libreria Mondadori di Milazzo ma soprattuto GRAZIE al numeroso e attento pubblico per aver reso meravigliosa questa bella parentesi Mamertina.
Incontro all’ITET “E.Fermi” di Barcellona P.G.
/0 Commenti/in Articoli /da adminIl 13 gennaio 2023 incontro con gli alunni dell’ITET “E.Fermi” organizzato dalla prof.ssa Amoroso, dirigente dell’istituto in collaborazione con i professori del progetto lettura e la libreria AR LIBRI.
Neroma 2022
/0 Commenti/in Articoli /da adminPresentato da Anemone Ledger al Neroma 2022, rassegna diretta da Fabio Mundadori
Alla libreria Libraccio di Via Roma abbiamo chiacchierato di gialli, noir, ambientazioni, personaggi e soprattutto di Delitti e Maestrale.
#10 E’ primavera, Piergiorgio
/0 Commenti/in Correvano i tempi delle FFP3 /da adminQuando si arriva in fondo a una storia l’emozione è forte per ciò che si è provato nel percorso che ha condotto alla fine. Questo racconto a puntate mi ha permesso di scavare dentro il mio animo e di sfogare ansie e preoccupazioni, ma anche di divertirmi insieme a Piergiorgio ed Edoardo. Molti di voi mi chiedono chi sia Marina, o Gargamella, o gli altri personaggi di questa storia. Preciso che è tutto frutto di fantasia, che non esiste nessuno di loro o forse sono tutti reali! Di vero ci sono i sentimenti che hanno condotto alla fine, che probabilmente è solo l’inizio.
Dedico il capitolo 10 a Clara, nata il 7 aprile 2020 alle ore 21.48 e ai miei amici Pietro e Teresa. Grazie, Clara, per avermi fatto superare le mie paure.
Se non fosse stato per l’improvviso rialzo delle temperature, Piergiorgio non si sarebbe accorto che la primavera era arrivata.
Il mondo girava senza percepire ciò che stava accadendo. Era il sette aprile e sembrava un giorno come un altro. Trascorrevano tutti uguali, inesorabili. La vita era cambiata. Molte aziende erano sull’orlo della bancarotta. La popolazione soffriva e aveva fame. E non c’è niente di più pericoloso di un popolo affamato. Al sud una buona fetta dei cittadini viveva di lavori in nero, retribuito a giornata, ma le restrizioni dello Stato non consentivano nemmeno di uscire di casa, figurarsi andare a lavorare.
Piergiorgio attraversò il marciapiede, quando una volante della Polizia di Stato lo accostò.
— Buongiorno. — Il poliziotto abbassò il finestrino e lo squadrò dai capelli (pochi rimasti) ai piedi. Era un cinquantino con le spalle di Sylvester Stallone, i bicipiti di Arnlod Schwarzenegger e la pancia di Bud Spencer.
— Buongiorno.
— Dove sta andando? — chiese, con in volto stampato il ghigno di chi ha beccato un altro trasgressore.
— In ospedale.
— Se ha la febbre non può.
— Non ho la febbre, sto bene.
— Potrebbe essere asintomatico.
— Non sono malato.
— E allora mi dia un documento. Lei sta commettendo un illecito. — Il poliziotto aprì lo sportello e fece per uscire dall’abitacolo con fare minaccioso.
— Io sono un rianimatore.
Il tempo si fermò.
— Come ha detto? — chiese il poliziotto, con gli occhi sgranati.
— Ha sentito bene: sono un R I A N I M A T O R E.
— E dove lavora?
— Al Sisalvichipuò.
— Mi scusi se l’ho importunata e mi scusi se le sto facendo perdere tempo. Vada pure e buon lavoro.
Il poliziotto salì sull’Alfa d’ordinanza.
— Se vuole le mostro il tesserino.
— No, vada vada. Anzi la scortiamo noi con la sirena.
— Non è necessario. Non c’è traffico.
— Insisto.
— Faccia come crede, ma…
Non ci fu verso. Piergiorgio raggiunse l’ospedale a bordo della sua utilitaria, preceduto dalla Polizia a sirene spiegate.
Il 2020 era stata la svolta per i rianimatori. Piergiorgio entrò in ospedale camminando sulle acque, a discapito dei vangeli.
Al Sisalvichipuò Hospital il tempo trascorreva inesorabile, mentre l’on. Curcuruto, nella sua villa con capitelli d’oro intarsiati e piscina olimpionica, sparava minchiate a raffica sui social network, adescando folle impazzite, desiderose di mettere like e di commentare in un italiano da quinta elementare ogni genere di notizia.
Il dottor Muccalapuni nel frattempo percorreva il perimetro della sua stanza, attendendo la nomina a direttore di dipartimento. Non avrebbe mai più detto di no all’on. Curcuruto, suo intimo amico: calzoni calati e culo a ponte, nei secoli dei secoli. Amen.
Piergiorgio era silenzioso. Guardava lo Smartphone. Marina non rispondeva ai suoi sms. Era irritata per quanto accaduto il giorno prima con Uberto Desiderio e il repentino soccorso che gli aveva negato. Ma alla fine dei conti il risultato era stato una pantomima da premio Oscar alla faccia di Benigni. La messa in scena era stata orchestrata per conquistare il cuore di Marina, ma era finita male. Piergiorgio era riuscito a spuntarla, ma la bionda fausa era un osso duro. Aveva un caratterino indomito e aveva bisogno di tempo per sbollire l’incazzatura. Non poteva nemmeno abbonirla con un mazzo di fiori, perché qualcuno aveva rubato le rose che la sua vicina di casa curava nel giardino. Era anche uscito un articolo su 24calarialive che alludeva a un ladro impavido che addormentava i cani per derubare i fiori. L’isolamento era anche questo: follia!
Marina era il culo più bello del Sisalvichipuò ed era sua: proprietà privata di Piergiorgio Morfina, anestesista-rianimatore del Sisalvichipuò Hospital. Il primo che l’avesse sfiorata con lo sguardo, sarebbe finito a testa sutta e pedi all’aria.
Lo Stromboli fumante era lo spettacolo che si vedeva dalle finestre della rianimazione. Quel panorama mozzafiato era stato il motivo principale per cui Piergiorgio aveva scelto come sede del contratto a tempo indeterminato Pizzo Calabro. Ma quella scelta gli aveva regalato Marina. E tanto bastava per renderlo il rianimatore più ricco del mondo.
Cazzeggiava sui social e fumava una Marlboro attraverso la mascherina chirurgica, mentre si sentiva nella poesia “Soldati” di Ungaretti: Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. Nonostante fuori la primavera imperversava impertinente, lui si sentiva in bilico, pronto a rischiare la sua salute e quella dei suoi cari per un virus bastardo.
In quel momento arrivò il primo sms, ma lo ignorò. C’era l’isolamento e tutti inviavano catene di S.Antonio e vignette che lo facevano piangere anziché ridere.
Poi un altro sms.
E un altro.
Alla fine il telefono squillò. Era Edoardo, il suo amico scrittore.
— Come è andata?
— Cosa?
— La poesia, rimbambito!
— Bene. Sei stato fantastico. Poi dovrai dirmi a chi erano realmente dedicati quei versi.
— Sono uno scrittore maledetto e non so cosa sia l’amore — precisò Edoardo.
— Puoi far credere quello che vuoi e metterti la maschera che preferisci, ma non insultare la mia intelligenza. Tu sei innamorato perso! — Piergiorgio allentò la mascherina. Non la sopportava più.
— C’è una donna che mi piace, sì… è vero… ma… è gravida!
— Minchia! Sei nella merda, amico mio!
— E me lo hai tenuto nascosto! — Piergiorgio saltò dalla sedia. Accese l’ennesima sigaretta della giornata e fu assalito dalla voglia di bere. Quello sì che era uno scoop!
— E che dovevo fare? Non avresti capito… ma ora anche tu hai il cuore nello zucchero!
— Siamo due diabetici inguaribili! — disse Piergiorgio.
Poi risero.
— Ti chiamavo per una cortesia.
— Certo. Spara!
— Lei si chiama Sara, ha ventisette anni. Per ora è sopra. Ha dolore. Dilatazione 3 cm, collo appianato.
— E tu? Dove sei?
— Che domande fai! Ho un po’ di tosse e non mi fanno entrare. Sono asserragliato in casa! — Il tono di voce di Edoardo si incupì.
Piergiorgio aspirò forate dalla sigaretta. Poteva solo immaginare lo stato d’animo del suo amico.
— Dovresti salire sopra e falle quella stregoneria che sapete fare voi rianimatori.
— Cosa?
— La partoanalgesia.
— Ma noi qui non la facciamo, siamo pochi, non possiamo… ci siamo sempre rifiutati…
— Non te lo chiederei se non fosse importante per me.
Piergiorgio non esitò. Spense la cicca nel posacenere, poi disse: — Va bene, amico mio!
L’ostetricia era al terzo piano. Piergiorgio evitò di incrociare Nadia Canotto, sarebbe stata una peridurale ficcata chissà dove. Si imbatté in una giovane moretta con i capelli a caschetto (che se la tirava manco fosse Madonna) di cui non ricordava il nome.
— Ciao, sono qui per…
— Per?
— … una mia amica…
— Come si chiama?
Come minchia si chiamava? Nemmeno il cognome si era fatto dire da Edoardo.
Prese lo smartphone e stava per comporre il numero, ma il suo amico era stato più lesto e lo aveva informato tramite sms
— Sara Addis — disse Piergiorgio, dopo essersi rassettato la maglietta nera, che lo snelliva di una taglia.
— Sì, mi segua.
— Gradirei fare l’analgesia in travaglio di parto.
La moretta lo guardò, dopo essersi fermata in mezzo al corridoio.
— Ma lei lo sa che non ne facciamo perché quelli come voi non hanno mai dato il benestare perché sotto organico?
Come darle torto.
— Sì… lei ha ragione… però… questa è una mia amica.
— Ancora peggio! Ancora peggio! Una raccomandata! — La moretta iniziò a martoriarsi i capelli.
— Senti, me la fai fare o no?
— Faccia quello che vuole!
Sara Addis era una grandissima scassaminchia e non comprendeva come Edoardo se ne fosse innamorato. Si lamentava per la vena, per la peridurale, per il dolore, persino per la gravidanza.
— Cosa nasce? — chiese Piergiorgio per rompere il ghiaccio.
— Una femminuccia.
— E come la chiamerà?
— Artemide.
— Come mai?
— Chiedilo al tuo amico!
— Lui è fissato con i miti greci. Lo so…
Sara Addis era sola. Purtroppo anche le nascite avevano subito una netta secessione tra ciò che si faceva prima della pandemia e ciò che si faceva dopo. Niente fiori e regali, ma soprattutto niente stanza piena di gente che bacia e accarezza puerpera e prole. Niente prosecco (ma solo perché Edoardo era taccagno) e niente familiari fuori. Artemide sarebbe nata con la sua mamma e al nido non la avrebbe vista nessuno.
La peridurale andò bene. Per Piergiorgio fu una delle migliori partoanalgesie che avesse mai fatto. Ci aveva messo tutta l’attenzione possibile.
— Grazie, Edoardo ha un amico speciale.
Piergiorgio sorrise e mosse piccoli passi verso l’uscita. Una delle cose che lo facevano commuovere erano i parti. Piccole creature che prendono vita. Per un istante avrebbe voluto essere ostetrico, chissà che ebrezza tenere in braccio quei marmocchi morbidi intrisi di purezza. Artemide che ne poteva sapere della pandemia?
In quel momento si sentì chiamare. Era l’ostetrica.
— La prenda in braccio.
Piergiorgio tremava. Era freddo, cinico e stronzo, ma dinanzi al mistero della nascita tornava il mammalucco imbambolato davanti a Marina. Allungò le braccia e la strinse a sé. Era piccola e morbida. Lacrime calde gli rigarono le guance, mentre fuori lo Stromboli iniziava a mormorare. Quella nascita rappresentava la speranza di quel domani che sarebbe stato per lui la felicità che aveva sempre sognato e inseguito, ma che non aveva mai colto.
Lo smartphone squillò. Era un sms che recitava: ti amo. Anche un carattere indomito come quello della bionda poteva essere mitigato dal sentimento più grande che esiste: l’amore.
Si specchiò negli occhi nocciola della piccola Artemide e vide dentro il suo domani: mano nella mano con Marina, mentre dinanzi a loro l’orizzonte non sembrava per niente distante.
E non ebbe più paura.
FINE
© Antonino Genovese
#9 Eparina
/0 Commenti/in Correvano i tempi delle FFP3 /da adminIl turno di guardia era cominciato come ormai avveniva da oltre trenta giorni. Niente baci, abbracci o pacche sulle spalle. Resistevano sorrisi forzati a battute stentate, pronunciate a denti stretti. Le abitudini erano cambiate e le cene in compagnia erano annullate, ognuno provvedeva per sé. Gli sguardi era intrisi di paura e diffidenza.
Piergiorgio pranzò con la solita accoppiata mela e banana. Cercò lo specchio in bagno, ma era stato divelto e posizionato nella stanza vestizione. Doveva smaltire la pancia da muratore, ma alla birra non riusciva a rinunciare. Potevano togliergli tutto, ma non la sua Cristalli di sale, in tal caso avrebbe alimentato i nuovi vespri: la birra Messina non dovevano toccargliela.
Quella mattina di fine marzo sembrava tranquilla. I contagi in Calabria non stavano raggiungendo i livelli della Lombardia. Non comprendeva se fosse per l’esiguo numero di tamponi effettuati, per le misure restrittive di isolamento, perché un dio li stesse proteggendo oppure (ipotesi più plausibile) era solo un colpo di culo.
Piergiorgio si sentiva in un film messo in pausa. Tutto si era arrestato. E anche la sua storia d’amore ne risentiva. Avrebbe voluto uscire, passeggiare e gridare al mondo che Marina era la donna della sua vita, ma non poteva. Il virus made in Cina stava affossando la società moderna, seppellendo abitudini e modi di vivere. Quando tutto sarebbe tornato normale, non sarebbe più stato lo stesso. Quello che prima era scontato, come un aperitivo con gli amici, la presentazione del libro di Edoardo, andare in palestra o correre sul lungomare, andava meritato e conquistato. L’umanità non aveva capito che la libertà era un dono. Così come lo era Marina per lui. Un regalo inaspettato, mentre le sabbie mobili lo inghiottivano. Era la sua alba. I contorni delle cose stavano di nuovo prendendo forma, anche le più banali. Maledetta pandemia! Ma non tutto era perduto. Se fosse sopravvissuto, non avrebbe perso nemmeno un secondo dietro minchiate che non lo rendevano felice. Avrebbe fatto solo ciò che desiderava e lo faceva stare bene.
Si crogiolava tra una Marlboro e l’altra in pensieri esistenziali, quando il telefono squillò per un codice rosso in pronto soccorso. Era il caso di un paziente “normale”, senza febbre o sintomi respiratori. Si trattava di arresto cardiaco che nulla aveva a che vedere con il coronavirus. Ma scese imbracato con ciò che riuscì a racimolare senza intaccare l’esigua scorta per le urgenze COVID accertate.
— Che succede?
— Un IMA.
— Laringo e tubo — ordinò perentorio Piergiorgio.
Quel codice rosso aveva una parvenza di normalità. Un caso grave, certo, dove serviva il sangue freddo e il cinismo di chi, come lui, era nato e viveva di scariche di adrenalina. Era la sua professione e nessuno poteva togliergliela.
— Adrenalina, dài!
Piergiorgio manteneva la calma, si esaltava nei casi spinosi. Gli piaceva stare in mezzo al caos dell’emergenza e dirigere la nave, mentre tutti pendevano dalle sue labbra. Un uomo solo al comando. Si sentiva Marco Pantani su l’Alpe d’Huez e durante tutta la rianimazione cardiopolmonare la paura del coronavirus lo abbandonò e si sentì di nuovo un anestesista-rianimatore. Ma non tutte le fiabe hanno il lieto fine, e quell’arresto cardiaco, scaraventato dal 118 in sala rossa, era finito male. Il rianimatore non è Dio. È fatto di carne e ossa. E il cuore di quel paziente non era ripartito. Piergiorgio si tolse i guanti, rimosse il tubo orotracheale e si sedette su uno sgabello.
— Chiamatemi i parenti — disse. Era sempre compito suo dare la triste notizia.
— Quali parenti? — chiese la collega del pronto soccorso, truccata, pettinata e perfettamente impupata nel suo camice bianco. In pratica non aveva alzato il culo dalla sedia. In fondo c’era il rianimatore.
— Quelli del paziente. Dobbiamo comunicare l’exitus. — Piergiorgio era stranito per la domanda.
— Non può entrare nessuno. Siamo in pandemia.
— E la salma?
— Vai in obitorio. Ci penseranno le onoranze funebri.
— Nessuno potrà piangerlo? Stargli vicino? Salutarlo?
Piergiorgio si alzò. Trattenne un singulto. Si stava rincoglionendo. Marina aveva tirato fuori una parte di lui che non conosceva, sepolta da trentasei anni di inverno. Lui era il dottor Morfina, cinico e freddo rianimatore di provincia. Eppure una lacrima prese possesso della sua guancia al pensiero che il paziente sarebbe morto solo, senza un amico a vegliarlo per l’ultima volta, né un funerale per l’ultimo estremo saluto.
Piergiorgio non credeva in una vita dopo la morte, né in un dio o nelle entità sovrannaturali. Ma alla morte, con cui tutti i giorni conviveva, aveva sempre dato dignità. Era stato il primo insegnamento del suo Maestro, disperso anche lui tra le sabbie del tempo. Gli venne in mente proprio lui, il Maestro, e la dottrina che andava aldilà della tecnica e della farmacologia: l’idea di anestesista-rianimatore, la figura che sta in mezzo al paziente, al chirurgo e ai pazienti, e coordina eventi eccezionali e drammatici. Sempre nella merda, a togliere le castagne dal fuoco, con ferie arretrate che non avrebbero mai smaltito, gli anestesisti-rianimatori dovevano al coronavirus la visibilità che negli ultimi vent’anni non avevano avuto.
Un’altra lacrima.
Ora basta, ecchecazzo!
Fumò una Marlboro e resettò il software. Era ora di tornare cinico e freddo.
Grazie all’ultimo turno e all’isolamento una cosa l’aveva capita: l’unica vera ricchezza è il tempo. Aveva un desiderio: riempire l’ufficio ticket di Marina di fiori, ma era tutto chiuso.
— Dannato DPCM! Non mi fermerai.
Si ricordò che la sua vicina di casa, che non lo credeva nemmeno laureato, anzi, pensava che di professione facesse l’anestetista e si dedicasse a eradicare bulbi piliferi (probabilmente avrebbe guadagnato di più), aveva un piccolo giardino con delle meravigliose rose rosse e tulipani da fare invidia agli olandesi. Li avrebbe presi a titolo di risarcimento dopo tanti anni di soprusi psicologici. Il problema era Spritz, che nel caso specifico non si trattava di una bevanda alcolica, ma un volpino nano bianco e cacacazzo! Abbaiava per partito preso. Anche col canuzzo aveva un conto in sospeso. Ogni santo giorno alle sette in punto iniziava ad abbaiare senza motivo, e se durante l’inverno con le imposte chiuse poteva fare quello che voleva, in estate essere svegliati ogni mattina alle sette era davvero una bestemmia. Piergiorgio aveva ovviato in un recente passato con secchiate d’acqua ripetute, che avevano maldisposto l’animale nei suoi riguardi. Come poteva fare a scavalcare il cancelletto e recuperare (a titolo di risarcimento, sia chiaro!) i fiori per la sua amata senza incorrere nell’aggressione del tremendo mastino?
Lo sconforto durò un istante, una rianimatore trova sempre il modo per ovviare agli imprevisti.
Un tozzo di pane intriso di benzodiazepine e dieci minuti di attesa bastarono per farlo cappottare. Piergiorgio controllò che il torace di Spritz si muovesse, non voleva averlo sulla coscienza e non voleva fare la respirazione bocca a bocca a un volpino malefico.
Rasò a zero le rose e i tulipani e corse via. Un fioraio non avrebbe fatto di meglio. Erano le diciassette quando si presentò all’ufficio ticket, profumato e parato come se dovesse andare a cena fuori nel miglior ristorante di pesce della zona. Teneva in mano i fiori come un trofeo.
Marina era lì, seduta al suo posto, raggiante e con un meraviglioso broncio da bimba impertinente. Piergiorgio non desiderava altro che lei.
— Alza gli occhi, alza gli occhi… — mormorò, sperando che le sue parole fossero magiche.
Gli anestesisti hanno i superpoteri e Marina alzò lo sguardo dal pc e lo vide.
I loro occhi si incrociarono e furono fuochi d’artificio.
Lei sorrise e lui ottenne ciò che desiderava per scacciare via il dolore a cui assisteva ogni giorno. Aveva bisogno del suo sorriso, incastonato nel volto dai lineamenti delicati.
Lei uscì di corsa dall’ufficio e si lanciò a baciarlo, fregandosene dei colleghi che la osservavano e di tutti gli altri medici, infermieri e OSS che avrebbero ricamato pettegolezzi sul loro conto.
— Sono per me?
Piergiorgio arrossì. Un anestesista non si emoziona mai, ma il suo sistema neurovegetativo era proprio andato. Marina con il suo sorriso lo aveva rivoltato come Primo Carnera aveva fatto con Jack Sharke nel’33.
— Sono meravigliose.
Piergiorgio non riusciva a spicciare una parola.
In quel momento passò Umberto Desiderio. Il suo sguardo da squalo famelico li osservò. Piergiorgio notò una smorfia sul volto del collega. L’istinto fu di controllare in tasca se avesse o meno il chiodino d’acciaio per la sua missione rimandata.
Ma l’idea morì ancor prima di nascere, perché Desiderio vacillò. Si appoggiò al muro, alzò di nuovo lo sguardo verso Marina e Piergiorgio, poi si piegò sulle gambe e stramazzò al suolo.
— Piergiorgio, aiutalo! — disse Marina.
— Ma sei sicura che sta male?
— Presto, presto!
— Starà fingendo uno dei suoi soliti malori, come fa sempre in sala operatoria!
— Sta male davvero!
— Io non sono in servizio.
— E allora chiama sopra!
— Va bene, mi farò portare l’eparina. Ma dirò di fare piano, siamo in pochi, non vorrei che qualcuno si facesse male correndo!
Piergiorgio ripensò ai fiori. Chissà se la sua vicina aveva anche qualche crisantemo da prestargli…
© Antonino Genovese
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