Nella splendida Villa Pisani di Pisani di Patti il 14/7/2022 Delitti e Maestrale è stato abbracciato da un pubblico appassionato e affettuoso!
Grazie a Teodoro Cafarelli titolare della libreria Capitolo 18, Roberto Cicero e Graziella Giuffrè!
https://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2022/08/img_0405.jpg1177828adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2022-08-07 12:54:592022-08-07 12:55:41Delitti e Maestrale a Patti
Nella splendida Agrigento, con Salvo di Caro, Alessandro Tagano, Claudia Gueli e Ignazio Marchese, una bellissima esperienza con un pubblico attento e partecipe, in compagnia di due magnifici scrittori come Patrizia Rinaldi e Salvo Toscano – 21/08/2022
https://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2022/08/img_0648-scaled.jpg19202560adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2022-08-02 20:58:382022-08-02 21:14:42Delitti e Maestrale ospite di Agrigento noir
Pagg. 240 coll. I Tascabili Noir €13,90 Isbn 9788869436222
Il corpo di Marco Lopez viene ritrovato senza vita nel vigneto che ha ereditato dal padre. Il maresciallo Gianluca Mariangelo, reduce dalla recente separazione dalla moglie, indaga su un nuovo caso di omicidio, tra i vigneti di Barcellona Pozzo di Gotto e le spiagge di Cicerata, con le Eolie a far da scenario alla morte violenta consumata sui Peloritani.
Mariangelo indaga tra l’oblio delle coscienze e una passione clandestina consumata al riparo dalla luce del sole. Che ruolo ha nella morte di Lopez il grosso prestito che la vittima doveva rendere a un noto strozzino? E le numerose telefonate con Carmelo Romano, un travestito conosciuto da tutti come Tiffany? Il sangue scorre tra i filari dei vigneti, tra parenti- serpenti e una gioielleria di famiglia che deve preservare il suo buon nome. A collaborare con Mariangelo, il fidato brigadiere Fabio Fascia e Marcello Dominici, insieme al nuovo elemento trasferito da poco in città: Ettore Soraci, incaricato di un’indagine parallela che coinvolge un pirata della strada. In una Barcellona Pozzo di Gotto alle prese con la raccolta differenziata che funziona a singhiozzo, il Maestrale è arrivato prepotente e s’insinua nei recessi più reconditi dell’anima, con il suo gelido alito di morte.
Antonino Genovese, classe ’84, è Anestesista, Rianimatore e Algologo. Dopo aver esordito con i tipi delle Edizioni Il Foglio, ha pubblicato il romanzo noir Scirocco e Zagara (Fratelli Frilli Editori 2020). I suoi racconti sono inclusi nelle antologie: Mosche contro vento (Morellini 2019), L’Isola delle tenebre (Algra 2020), I luoghi del noir (Fratelli Frilli Editori 2020), Onda Variante (Golem 2020), Giallo Siciliano (Delos Digital 2022). Nel 2019 si è classificato secondo al premio letterario “Tutti i sapori del giallo” in collaborazione con Il Giallo Mondadori. Nel 2020 è arrivato finalista al concorso “Garfagnana in Giallo” con il racconto Sangue Zingaro. Il romanzo Scirocco e Zagara ha vinto il premio “Il Convivio” (2020) e si è classificato 3° al premio “Un libro amico per l’inverno” (X Edizione – Gueciass). Nel 2021 si è classificato primo al concorso “GialloLunaNeroNotte” con il racconto La morte viaggia in cartolina, in collaborazione con Il Giallo Mondadori.
http://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpg00adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2022-07-29 19:42:032022-07-29 19:50:40In libreria: Delitti e Maestrale
Antonino Genovese si aggiudica il primo posto al prestigioso concorso di narrativa GialloLuna Neronotte 2021 giunto alla 19esima edizione e organizzato da Nevio Galeati in collaborazioni con Il Giallo Mondadori, diretto da Franco Forte. Presente alla manifestazione e componente della giuria la famosa scrittrice di gialli: Annamaria Fassio.Il 6.11.2021 a Ravenna presso la Biblioteca Oriani si è tenuta la premiazione dei 10 finalisti, che ha visto Antonino Genovese salire sul gradino più alto del podio con il racconto ‘La morte viaggia in cartolina’ con la seguente motivazione: “Il racconto ha tre punti di forza: la ricostruzione precisa di un’indagine poliziesca, il colpo di scena finale non prevedibile e la caratterizzazione dei personaggi”. La storia si dipana tra Milazzo e il suo bellissimo circolo del tennis e Barcellona P.G. e ha come protagonista un nuovo personaggio nato dalla penna dello scrittore barcellonese: il maresciallo Giacomo Vella, detto lslamico. Il racconto sarà pubblicato in appendice sul numero1457 di Giugno 2022 del Giallo Mondadori serie Classici. Secondo classificato il catanese Giuseppe Spata’ con il racconto ‘Il Re Mida del peperoncino’, al terzo posto invece si è piazzato ‘Delitto al calamaro dispettoso’ di Fiammetta Rossi e Melania Soriani. Per Antonino Genovese si tratta di un altro importante riconoscimento in ambito nazionale.
http://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpg00adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2022-01-06 00:25:172022-01-06 00:25:17Primo classificato al premio "GialloLuna NeroNotte 2021"
http://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpg00adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2020-10-01 17:54:122020-10-01 17:54:18Scirocco e Zagara al primo posto
Quando si arriva in fondo a una storia l’emozione è forte per ciò che si è provato nel percorso che ha condotto alla fine. Questo racconto a puntate mi ha permesso di scavare dentro il mio animo e di sfogare ansie e preoccupazioni, ma anche di divertirmi insieme a Piergiorgio ed Edoardo. Molti di voi mi chiedono chi sia Marina, o Gargamella, o gli altri personaggi di questa storia. Preciso che è tutto frutto di fantasia, che non esiste nessuno di loro o forse sono tutti reali! Di vero ci sono i sentimenti che hanno condotto alla fine, che probabilmente è solo l’inizio.
Dedico il capitolo 10 a Clara, nata il 7 aprile 2020 alle ore 21.48 e ai miei amici Pietro e Teresa. Grazie, Clara, per avermi fatto superare le mie paure.
Se non fosse
stato per l’improvviso rialzo delle temperature, Piergiorgio non si sarebbe
accorto che la primavera era arrivata.
Il mondo
girava senza percepire ciò che stava accadendo. Era il sette aprile e sembrava
un giorno come un altro. Trascorrevano tutti uguali, inesorabili. La vita era
cambiata. Molte aziende erano sull’orlo della bancarotta. La popolazione
soffriva e aveva fame. E non c’è niente di più pericoloso di un popolo
affamato. Al sud una buona fetta dei cittadini viveva di lavori in nero, retribuito
a giornata, ma le restrizioni dello Stato non consentivano nemmeno di uscire di
casa, figurarsi andare a lavorare.
Piergiorgio
attraversò il marciapiede, quando una volante della Polizia di Stato lo
accostò.
—
Buongiorno. — Il poliziotto abbassò il finestrino e lo squadrò dai capelli
(pochi rimasti) ai piedi. Era un cinquantino con le spalle di Sylvester
Stallone, i bicipiti di Arnlod Schwarzenegger e la pancia di Bud Spencer.
—
Buongiorno.
— Dove sta andando? — chiese, con in volto stampato il ghigno di chi ha
beccato un altro trasgressore.
— In
ospedale.
— Se ha la
febbre non può.
— Non ho la
febbre, sto bene.
— Potrebbe
essere asintomatico.
— Non sono
malato.
— E allora
mi dia un documento. Lei sta commettendo un illecito. — Il poliziotto aprì lo
sportello e fece per uscire dall’abitacolo con fare minaccioso.
— Io sono un
rianimatore.
Il tempo si
fermò.
— Come ha
detto? — chiese il poliziotto, con gli occhi sgranati.
— Ha sentito
bene: sono un R I A N I M A T O R E.
— E dove
lavora?
— Al
Sisalvichipuò.
— Mi scusi
se l’ho importunata e mi scusi se le sto facendo perdere tempo. Vada pure e
buon lavoro.
Il
poliziotto salì sull’Alfa d’ordinanza.
— Se vuole
le mostro il tesserino.
— No, vada
vada. Anzi la scortiamo noi con la sirena.
— Non è
necessario. Non c’è traffico.
— Insisto.
— Faccia
come crede, ma…
Non ci fu
verso. Piergiorgio raggiunse l’ospedale a bordo della sua utilitaria, preceduto
dalla Polizia a sirene spiegate.
Il 2020 era
stata la svolta per i rianimatori. Piergiorgio entrò in ospedale camminando
sulle acque, a discapito dei vangeli.
Al
Sisalvichipuò Hospital il tempo trascorreva inesorabile, mentre l’on.
Curcuruto, nella sua villa con capitelli d’oro intarsiati e piscina
olimpionica, sparava minchiate a raffica sui social network, adescando folle
impazzite, desiderose di mettere like e di commentare in un italiano da quinta
elementare ogni genere di notizia.
Il dottor
Muccalapuni nel frattempo percorreva il perimetro della sua stanza, attendendo
la nomina a direttore di dipartimento. Non avrebbe mai più detto di no all’on.
Curcuruto, suo intimo amico: calzoni calati e culo a ponte, nei secoli dei
secoli. Amen.
Piergiorgio
era silenzioso. Guardava lo Smartphone. Marina non rispondeva ai suoi sms. Era
irritata per quanto accaduto il giorno prima con Uberto Desiderio e il
repentino soccorso che gli aveva negato. Ma alla fine dei conti il risultato
era stato una pantomima da premio Oscar alla faccia di Benigni. La messa in
scena era stata orchestrata per conquistare il cuore di Marina, ma era finita
male. Piergiorgio era riuscito a spuntarla, ma la bionda fausa era un
osso duro. Aveva un caratterino indomito e aveva bisogno di tempo per sbollire
l’incazzatura. Non poteva nemmeno abbonirla con un mazzo di fiori, perché qualcuno
aveva rubato le rose che la sua vicina di casa curava nel giardino. Era anche
uscito un articolo su 24calarialive che alludeva a un ladro impavido che
addormentava i cani per derubare i fiori. L’isolamento era anche questo:
follia!
Marina era
il culo più bello del Sisalvichipuò ed era sua: proprietà privata di
Piergiorgio Morfina, anestesista-rianimatore del Sisalvichipuò Hospital. Il
primo che l’avesse sfiorata con lo sguardo, sarebbe finito a testa sutta e
pedi all’aria.
Lo Stromboli
fumante era lo spettacolo che si vedeva dalle finestre della rianimazione. Quel
panorama mozzafiato era stato il motivo principale per cui Piergiorgio aveva
scelto come sede del contratto a tempo indeterminato Pizzo Calabro. Ma quella
scelta gli aveva regalato Marina. E tanto bastava per renderlo il rianimatore
più ricco del mondo.
Cazzeggiava
sui social e fumava una Marlboro attraverso la mascherina chirurgica, mentre si
sentiva nella poesia “Soldati” di Ungaretti: Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. Nonostante
fuori la primavera imperversava impertinente, lui si sentiva in bilico, pronto
a rischiare la sua salute e quella dei suoi cari per un virus bastardo.
In quel
momento arrivò il primo sms, ma lo ignorò. C’era l’isolamento e tutti inviavano
catene di S.Antonio e vignette che lo facevano piangere anziché ridere.
Poi un altro
sms.
E un altro.
Alla fine il
telefono squillò. Era Edoardo, il suo amico scrittore.
— Come è
andata?
— Cosa?
— La poesia,
rimbambito!
— Bene. Sei
stato fantastico. Poi dovrai dirmi a chi erano realmente dedicati quei versi.
— Sono uno
scrittore maledetto e non so cosa sia l’amore — precisò Edoardo.
— Puoi far
credere quello che vuoi e metterti la maschera che preferisci, ma non insultare
la mia intelligenza. Tu sei innamorato perso! — Piergiorgio allentò la
mascherina. Non la sopportava più.
— C’è una
donna che mi piace, sì… è vero… ma… è gravida!
— Minchia!
Sei nella merda, amico mio!
— E me lo
hai tenuto nascosto! — Piergiorgio saltò dalla sedia. Accese l’ennesima
sigaretta della giornata e fu assalito dalla voglia di bere. Quello sì che era
uno scoop!
— E che
dovevo fare? Non avresti capito… ma ora anche tu hai il cuore nello zucchero!
— Siamo due
diabetici inguaribili! — disse Piergiorgio.
Poi risero.
— Ti
chiamavo per una cortesia.
— Certo.
Spara!
— Lei si
chiama Sara, ha ventisette anni. Per ora è sopra. Ha dolore. Dilatazione 3 cm,
collo appianato.
— E tu? Dove
sei?
— Che domande
fai! Ho un po’ di tosse e non mi fanno entrare. Sono asserragliato in casa! — Il tono di voce di Edoardo si incupì.
Piergiorgio
aspirò forate dalla sigaretta. Poteva solo immaginare lo stato d’animo del suo
amico.
— Dovresti
salire sopra e falle quella stregoneria che sapete fare voi rianimatori.
— Cosa?
— La
partoanalgesia.
— Ma noi qui
non la facciamo, siamo pochi, non possiamo… ci siamo sempre rifiutati…
— Non te lo
chiederei se non fosse importante per me.
Piergiorgio
non esitò. Spense la cicca nel posacenere, poi disse: — Va bene, amico mio!
L’ostetricia
era al terzo piano. Piergiorgio evitò di incrociare Nadia Canotto, sarebbe
stata una peridurale ficcata chissà dove. Si imbatté in una giovane moretta con
i capelli a caschetto (che se la tirava manco fosse Madonna) di cui non
ricordava il nome.
— Ciao, sono
qui per…
— Per?
— … una mia
amica…
— Come si
chiama?
Come minchia
si chiamava? Nemmeno il cognome si era fatto dire da Edoardo.
Prese lo
smartphone e stava per comporre il numero, ma il suo amico era stato più lesto
e lo aveva informato tramite sms
— Sara Addis
— disse Piergiorgio, dopo essersi rassettato la maglietta nera, che lo snelliva
di una taglia.
— Sì, mi
segua.
— Gradirei
fare l’analgesia in travaglio di parto.
La moretta
lo guardò, dopo essersi fermata in mezzo al corridoio.
— Ma lei lo
sa che non ne facciamo perché quelli come voi non hanno mai dato il benestare
perché sotto organico?
Come darle
torto.
— Sì… lei ha
ragione… però… questa è una mia amica.
— Ancora
peggio! Ancora peggio! Una raccomandata! —
La moretta iniziò a martoriarsi i capelli.
— Senti, me
la fai fare o no?
— Faccia
quello che vuole!
Sara Addis
era una grandissima scassaminchia e
non comprendeva come Edoardo se ne fosse innamorato. Si lamentava per la vena,
per la peridurale, per il dolore, persino per la gravidanza.
— Cosa
nasce? — chiese Piergiorgio per rompere il ghiaccio.
— Una
femminuccia.
— E come la
chiamerà?
— Artemide.
— Come mai?
— Chiedilo
al tuo amico!
— Lui è
fissato con i miti greci. Lo so…
Sara Addis
era sola. Purtroppo anche le nascite avevano subito una netta secessione tra
ciò che si faceva prima della pandemia e ciò che si faceva dopo. Niente fiori e
regali, ma soprattutto niente stanza piena di gente che bacia e accarezza
puerpera e prole. Niente prosecco (ma solo perché Edoardo era taccagno) e
niente familiari fuori. Artemide sarebbe
nata con la sua mamma e al nido non la avrebbe vista nessuno.
La
peridurale andò bene. Per Piergiorgio fu una delle migliori partoanalgesie che
avesse mai fatto. Ci aveva messo tutta l’attenzione possibile.
— Grazie,
Edoardo ha un amico speciale.
Piergiorgio
sorrise e mosse piccoli passi verso l’uscita. Una delle cose che lo facevano
commuovere erano i parti. Piccole creature che prendono vita. Per un istante
avrebbe voluto essere ostetrico, chissà che ebrezza tenere in braccio quei
marmocchi morbidi intrisi di purezza. Artemide che ne poteva sapere della
pandemia?
In quel
momento si sentì chiamare. Era l’ostetrica.
— La prenda
in braccio.
Piergiorgio
tremava. Era freddo, cinico e stronzo, ma dinanzi al mistero della nascita
tornava il mammalucco imbambolato davanti a Marina. Allungò le braccia e la
strinse a sé. Era piccola e morbida. Lacrime calde gli rigarono le guance,
mentre fuori lo Stromboli iniziava a mormorare. Quella nascita rappresentava la
speranza di quel domani che sarebbe stato per lui la felicità che aveva sempre
sognato e inseguito, ma che non aveva mai colto.
Lo
smartphone squillò. Era un sms che recitava: ti amo. Anche un carattere indomito come quello della bionda poteva
essere mitigato dal sentimento più grande che esiste: l’amore.
Si specchiò
negli occhi nocciola della piccola Artemide e vide dentro il suo domani: mano
nella mano con Marina, mentre dinanzi a loro l’orizzonte non sembrava per
niente distante.
Il
turno di guardia era cominciato come ormai avveniva da oltre trenta giorni.
Niente baci, abbracci o pacche sulle spalle. Resistevano sorrisi forzati a
battute stentate, pronunciate a denti stretti. Le abitudini erano cambiate e le
cene in compagnia erano annullate, ognuno provvedeva per sé. Gli sguardi era
intrisi di paura e diffidenza.
Piergiorgio
pranzò con la solita accoppiata mela e banana. Cercò lo specchio in bagno, ma
era stato divelto e posizionato nella stanza vestizione. Doveva smaltire la
pancia da muratore, ma alla birra non riusciva a rinunciare. Potevano togliergli
tutto, ma non la sua Cristalli di sale, in tal caso avrebbe alimentato i nuovi
vespri: la birra Messina non dovevano toccargliela.
Quella
mattina di fine marzo sembrava tranquilla. I contagi in Calabria non stavano
raggiungendo i livelli della Lombardia. Non comprendeva se fosse per l’esiguo
numero di tamponi effettuati, per le misure restrittive di isolamento, perché
un dio li stesse proteggendo oppure (ipotesi più plausibile) era solo un colpo
di culo.
Piergiorgio
si sentiva in un film messo in pausa. Tutto si era arrestato. E anche la sua
storia d’amore ne risentiva. Avrebbe voluto uscire, passeggiare e gridare al
mondo che Marina era la donna della sua vita, ma non poteva. Il virus made in
Cina stava affossando la società moderna, seppellendo abitudini e modi di
vivere. Quando tutto sarebbe tornato normale, non sarebbe più stato lo stesso.
Quello che prima era scontato, come un aperitivo con gli amici, la presentazione
del libro di Edoardo, andare in palestra o correre sul lungomare, andava
meritato e conquistato. L’umanità non aveva capito che la libertà era un dono.
Così come lo era Marina per lui. Un regalo inaspettato, mentre le sabbie mobili
lo inghiottivano. Era la sua alba. I contorni delle cose stavano di nuovo
prendendo forma, anche le più banali. Maledetta pandemia! Ma non tutto era
perduto. Se fosse sopravvissuto, non avrebbe perso nemmeno un secondo dietro
minchiate che non lo rendevano felice. Avrebbe fatto solo ciò che desiderava e
lo faceva stare bene.
Si
crogiolava tra una Marlboro e l’altra in pensieri esistenziali, quando il
telefono squillò per un codice rosso in pronto soccorso. Era il caso di un
paziente “normale”, senza febbre o sintomi respiratori. Si trattava di arresto
cardiaco che nulla aveva a che vedere con il coronavirus. Ma scese imbracato
con ciò che riuscì a racimolare senza intaccare l’esigua scorta per le urgenze
COVID accertate.
— Che
succede?
— Un IMA.
— Laringo e
tubo — ordinò perentorio Piergiorgio.
Quel codice
rosso aveva una parvenza di normalità. Un caso grave, certo, dove serviva il
sangue freddo e il cinismo di chi, come lui, era nato e viveva di scariche di
adrenalina. Era la sua professione e nessuno poteva togliergliela.
—
Adrenalina, dài!
Piergiorgio
manteneva la calma, si esaltava nei casi spinosi. Gli piaceva stare in mezzo al
caos dell’emergenza e dirigere la nave, mentre tutti pendevano dalle sue
labbra. Un uomo solo al comando. Si sentiva Marco Pantani su l’Alpe d’Huez e
durante tutta la rianimazione cardiopolmonare la paura del coronavirus lo
abbandonò e si sentì di nuovo un anestesista-rianimatore. Ma non tutte le fiabe
hanno il lieto fine, e quell’arresto cardiaco, scaraventato dal 118 in sala
rossa, era finito male. Il rianimatore non è Dio. È fatto di carne e ossa. E il
cuore di quel paziente non era ripartito. Piergiorgio si tolse i guanti,
rimosse il tubo orotracheale e si sedette su uno sgabello.
— Chiamatemi
i parenti — disse. Era sempre compito suo dare la triste notizia.
— Quali
parenti? — chiese la collega del pronto soccorso, truccata, pettinata e
perfettamente impupata nel suo camice bianco. In pratica non aveva alzato il
culo dalla sedia. In fondo c’era il rianimatore.
— Quelli del
paziente. Dobbiamo comunicare l’exitus. — Piergiorgio era stranito per la
domanda.
— Non può
entrare nessuno. Siamo in pandemia.
— E la salma?
— Vai in
obitorio. Ci penseranno le onoranze funebri.
Piergiorgio
si alzò. Trattenne un singulto. Si stava rincoglionendo. Marina aveva tirato
fuori una parte di lui che non conosceva, sepolta da trentasei anni di inverno.
Lui era il dottor Morfina, cinico e freddo rianimatore di provincia. Eppure una
lacrima prese possesso della sua guancia al pensiero che il paziente sarebbe
morto solo, senza un amico a vegliarlo per l’ultima volta, né un funerale per l’ultimo
estremo saluto.
Piergiorgio
non credeva in una vita dopo la morte, né in un dio o nelle entità sovrannaturali.
Ma alla morte, con cui tutti i giorni conviveva, aveva sempre dato dignità. Era
stato il primo insegnamento del suo Maestro, disperso anche lui tra le sabbie
del tempo. Gli venne in mente proprio lui, il Maestro, e la dottrina che andava
aldilà della tecnica e della farmacologia: l’idea di anestesista-rianimatore, la
figura che sta in mezzo al paziente, al chirurgo e ai pazienti, e coordina
eventi eccezionali e drammatici. Sempre nella merda, a togliere le castagne dal
fuoco, con ferie arretrate che non avrebbero mai smaltito, gli
anestesisti-rianimatori dovevano al coronavirus la visibilità che negli ultimi
vent’anni non avevano avuto.
Un’altra
lacrima.
Ora basta, ecchecazzo!
Fumò una
Marlboro e resettò il software. Era ora di tornare cinico e freddo.
Grazie all’ultimo
turno e all’isolamento una cosa l’aveva capita: l’unica vera ricchezza è il
tempo. Aveva un desiderio: riempire l’ufficio ticket di Marina di fiori, ma era
tutto chiuso.
— Dannato
DPCM! Non mi fermerai.
Si ricordò
che la sua vicina di casa, che non lo credeva nemmeno laureato, anzi, pensava
che di professione facesse l’anestetista
e si dedicasse a eradicare bulbi piliferi (probabilmente avrebbe guadagnato di
più), aveva un piccolo giardino con delle meravigliose rose rosse e tulipani da
fare invidia agli olandesi. Li avrebbe presi a titolo di risarcimento dopo
tanti anni di soprusi psicologici. Il problema era Spritz, che nel caso
specifico non si trattava di una bevanda alcolica, ma un volpino nano bianco e cacacazzo! Abbaiava per partito preso.
Anche col canuzzo aveva un conto in
sospeso. Ogni santo giorno alle sette in punto iniziava ad abbaiare senza
motivo, e se durante l’inverno con le imposte chiuse poteva fare quello che
voleva, in estate essere svegliati ogni mattina alle sette era davvero una
bestemmia. Piergiorgio aveva ovviato in un recente passato con secchiate d’acqua
ripetute, che avevano maldisposto l’animale nei suoi riguardi. Come poteva fare
a scavalcare il cancelletto e recuperare (a titolo di risarcimento, sia chiaro!)
i fiori per la sua amata senza incorrere nell’aggressione del tremendo mastino?
Lo sconforto
durò un istante, una rianimatore trova sempre il modo per ovviare agli
imprevisti.
Un tozzo di
pane intriso di benzodiazepine e dieci minuti di attesa bastarono per farlo
cappottare. Piergiorgio controllò che il torace di Spritz si muovesse, non
voleva averlo sulla coscienza e non voleva fare la respirazione bocca a bocca a
un volpino malefico.
Rasò a zero
le rose e i tulipani e corse via. Un fioraio non avrebbe fatto di meglio. Erano
le diciassette quando si presentò all’ufficio ticket, profumato e parato come
se dovesse andare a cena fuori nel miglior ristorante di pesce della zona. Teneva
in mano i fiori come un trofeo.
Marina era
lì, seduta al suo posto, raggiante e con un meraviglioso broncio da bimba impertinente.
Piergiorgio non desiderava altro che lei.
— Alza gli
occhi, alza gli occhi… — mormorò, sperando che le sue parole fossero magiche.
Gli
anestesisti hanno i superpoteri e Marina alzò lo sguardo dal pc e lo vide.
I loro occhi
si incrociarono e furono fuochi d’artificio.
Lei sorrise
e lui ottenne ciò che desiderava per scacciare via il dolore a cui assisteva
ogni giorno. Aveva bisogno del suo sorriso, incastonato nel volto dai
lineamenti delicati.
Lei uscì di
corsa dall’ufficio e si lanciò a baciarlo, fregandosene dei colleghi che la
osservavano e di tutti gli altri medici, infermieri e OSS che avrebbero
ricamato pettegolezzi sul loro conto.
— Sono per
me?
Piergiorgio
arrossì. Un anestesista non si emoziona mai, ma il suo sistema neurovegetativo
era proprio andato. Marina con il suo sorriso lo aveva rivoltato come Primo
Carnera aveva fatto con Jack Sharke nel’33.
— Sono
meravigliose.
Piergiorgio
non riusciva a spicciare una parola.
In quel momento
passò Umberto Desiderio. Il suo sguardo da squalo famelico li osservò. Piergiorgio
notò una smorfia sul volto del collega. L’istinto fu di controllare in tasca se
avesse o meno il chiodino d’acciaio per la sua missione rimandata.
Ma l’idea
morì ancor prima di nascere, perché Desiderio vacillò. Si appoggiò al muro,
alzò di nuovo lo sguardo verso Marina e Piergiorgio, poi si piegò sulle gambe e
stramazzò al suolo.
—
Piergiorgio, aiutalo! — disse Marina.
— Ma sei
sicura che sta male?
— Presto,
presto!
— Starà
fingendo uno dei suoi soliti malori, come fa sempre in sala operatoria!
— Sta male
davvero!
— Io non
sono in servizio.
— E allora
chiama sopra!
— Va bene,
mi farò portare l’eparina. Ma dirò di fare piano, siamo in pochi, non vorrei
che qualcuno si facesse male correndo!
Piergiorgio ripensò ai fiori. Chissà se la sua vicina aveva anche qualche crisantemo da prestargli…
Piergiorgio
lasciò che la stanchezza lo cogliesse impreparato. Bevve l’ultimo
sorso di birra Messina cristalli di sale e accese una Marlboro. Il
campanello squillò senza preavviso, rompendo il silenzio grazie a
cui aveva trovato il suo equilibrio mentale, tra il pensiero di
Marina e una FFP3.
Voltò
lo sguardo verso il campanello. Non poteva aver suonato. Se l’era
immaginato. Non aspettava nessun corriere. Non aveva una fidanzata.
Sua madre era rinchiusa a Cosenza e non poteva muoversi. E i suoi
amici sgattaiolavano come topi dagli appartamenti per fare la spesa
una volta a settimana (dichiarata) o portare il cane a fare la pipì
ventiquattro volte al giorno.
Accese
la Marlboro e di nuovo il campanello squillò. Non era un’illusione.
Odorò la sigaretta: era tabacco.
— Chi
è? — chiese
al citofono.
— Sono
Marina.
Che
ci faceva sotto casa sua?
Spense
la sigaretta. Spazzò via dal divano le bottiglie di birra e le altre
cianfrusaglie.
Marina era andato a trovarlo in barba a tutti i DPCM, ordinanze,
sindaci metropolitani e disposizioni di servizio. Il suo cuore si
tuffò in una piscina ricolma di miele. Rassettò in
pochi minuti, gettando tutto nella pattumiera. Poi volò in bagno per
una spruzzata di Sauvage. Odorò le ascelle: potevano andare! Non
aveva tempo per cambiarsi. I passi di Marina sul pianerottolo si
facevano sempre più vicini. Prese un respiro profondo e aprì la
porta nel momento esatto in cui la donna stava dinanzi a lui. Era
fantastica. La mascherina le copriva il naso e la bocca, ma gli occhi
brillavano di una luce primaverile.
Piergiorgio
restò immobile, imbambolato come quando aveva visto La Venere di
Botticelli agli Uffizi di Firenze e non si era mosso per parecchi
minuti, incantato da tanta bellezza. Una sensazione che ti paralizza,
non riesci a parlare e respiri solo perché è un processo
involontario.
— Posso
entrare?
— Certo.
— Piergiorgio rinsavì, poi si spostò, indicando il piccolo
salotto.
— Ti
posso offrire qualcosa? — chiese, togliendo l’ultimo numero di
Dylan Dog dal divano.
Marina
si accomodò con eleganza. Il suo profumo era un uragano. Il cuore di
Piergiorgio galoppava, sembrava Furia
il cavallo del West.
Si ricordò che il frigo era vuoto, ma una bottiglia di Valdobiadene
lo
salvò in calcio d’angolo.
— Fai
tu — disse la donna, mentre lo scrutava.
Piergiorgio
stappò la bottiglia e poi disse: — A cosa brindiamo?
— Alle
parole che mi hai scritto. Sono bellissime.
Sono venuta
per dirtelo di persona. Non mi andava di scrivertelo in un sms!
— Marina,
io…
Piergiorgio
si avvicinò. Gli occhi di lei erano languidi e le labbra, coperte da
un rossetto rosso fuoco, umide e sensuali.
— Piergiorgio,
io…
E
si fici a frittata.
Lui
le prese le guance tra le mani e la baciò, e pensò che quello era
per lui il primo bacio, come se fino a quel giorno non avesse mai
amato. Si perse nelle distese sconfinate del suo corpo, affrontando
curve repentine e mozzafiato, guidando con una mano sola, mentre
tutt’intorno la casa, il divano e la città stessa scomparivano.
Insieme a lei, in quel connubio di corpo e mente, pazzo e sregolato,
si sentiva finalmente parte dell’universo.
Pace.
E
la primavera era arrivata, puntuale. E aveva scacciato via l’inverno
gelido che lo aveva investito.
E
chi se fotteva del virus cinese!
Che
non era solo sesso lo aveva compreso subito. Sotto l’involucro
(meraviglioso) c’era qualcosa che lo attirava ancora di più: un
ciriveddu
e un cuore.
Da
quella sera niente sarebbe stato più come prima. Il cibo non avrebbe
avuto lo stesso sapore e persino la luna e le stelle avrebbero
brillato in maniera diversa.
Si
ritrovò solo a riflettere,
mentre iniziava il suo turno di notte. E pensò
che si era rincoglionito davvero. Per Marina aveva preso un muro di
faccia ed era rimasto schiantato.
Ma
poteva mai innamorarsi una come lei di uno come lui?
E
soprattutto poteva uno stronzo patentato come lui innamorarsi?
Era un cinico e freddo rianimatore. E non era previsto che perdesse
la testa per una bionda fausa!
Iniziò
il turno di notte con il suo solito rito scaramantico. Un pugno di
sale ai quattro angoli del nosocomio, una spruzzata sulla testa e una
sulla divisa. Ma sapeva già che sarebbe stata una notte di merda:
all’ingresso aveva incontrato Nadia Canotto, l’ostetrica con le
tette che parevano un salvagente. Per mantenerle in forma ci voleva
il fisico e, nonostante i cinquant’anni, pareva le tenesse ancora
su con reggiseni a forma di balcone in cemento armato. Ma aldilà del
seno prosperoso, Nadia aveva un difetto: portava Sfiga. Ma non sfiga,
bensì Sfiga con la s maiuscola. E non era stato ancora forgiato un
amuleto che riuscisse a contrastare la sua potenza.
— Buonanotte,
dottore!
Buonanotte,
un cazzo! Si era lasciato andare in gesti scaramantici di ogni tipo,
sale in abbondanza, aveva messo in tasca un corno rosso, aveva
accarezzato il ferro di cavallo (eredità di nonno Turi), che teneva
nell’armadietto per i casi disperati. Niente! Non c’era verso.
Quando Nadia Canotto salutava… la notte era persa!
A
fargli compagnia in quella serata di sventure c’era Pippo Bibita:
alto, secco, asciutto. La capigliatura a casco di banane era tenuta
in sesto da una fitta impalcatura costruita con gel e altre
diavolerie cosmetiche.
— Piergiorgio,
guarda che ti faccio vedere! — disse, mostrandogli il cellulare.
— Stiamo
a un metro.
— E
dai… questa è la mia ultima conquista: si chiama Rosalinda.
— Una
mora?
Pippo
annuì.
— Ma
non ti piacevano le rosse?
— Guarda,
ti dirò. Ho iniziato con le bionde, ma sai… sopra erano bionde e
sotto… non sempre, ho continuato con le rosse, ma sai… troppe
lentiggini e poi, sei rianimatore pure tu, i “rossi” hanno sempre
problemi sotto anestesia.
— E
ora sei passato alle more?
Pippo
Bibita annuì.
— Da
quando c’è
il coronavirus dico a tutte che sono rianimatore e… indovina? Me
la vogliono dare. Io dico: no, no, no… e loro invece insistono…
non sai che fatica!
— Immagino.
— Alla
mia nuova fiamma ho regalato l’i-phone 11 pro.
— Già
che c’eri e hai tutti sti soldi da buttare per una storia che
durerà non più di un mese potevi anche regalarle l’11 pro max!
— E
qua ti sbagli, — disse Pippo con uno scintillio febbrile negli
occhi azzurri, — l’i-phone è 11 pro… il max ce l’ho io in
mezzo alle gambe!
Poi
si lasciò andare in una risata fragorosa.
— Indossa
bene la mascherina, non vedi che ti cade?
— Ce
l’ho da sei giorni, la farmacia le dà col contagocce, — rispose
Pippo, tornato serio.
Piergiorgio
pensava a Marina, non voleva togliersi di dosso la sua fragranza.
Mentre
l’orologio in cucina segnava mezzanotte e l’idea di averla fatta
franca alla buonanotte
di Nadia Canotto prendeva forma nella sua mente, squillò il
telefono. Il taglio cesareo, che in tempi di normalità era
considerato una grande rottura di scatole, quella notte fu una
benedizione. E
anche il taglio cesareo successivo non fu visto in maniera ostile. Un
cesareo tira l’altro come le ciliegie. Per fortuna non c’era di
turno Aida Sguaitamatti!
La
mattina seguente Piergiorgio si sentiva mezzo miracolato. Aveva
persino riposato due ore.
Ma
i quattordici giorni di isolamento del primario erano terminati.
Quando vide Muccalapuni entrare in cucina con la sua faccia da
pugile, il corpo tozzo, il collo assente e l’orrendo riporto di
capelli tinti con un colore innaturale che tendeva all’arancio,
comprese in quel momento che la buonanotte
di Nadia Canotto non lasciava scampo.
— Dottore
Morfina, dove va? — disse, con la voce da fumatore incallito.
— Smonto.
— Chiama
Gargamella, ho deciso di rivedere il percorso COVID.
— Ma
se lo avete fatto insieme telefonicamente.
— Sì,
ma vedi? Non ho niente da fare oggi, e quindi rompo le palle.
Gargamella
entrò, trafelato. Occhiali, mascherina e cappellino perfettamente
indossati. Ma il telefono di Muccalapuni squillò con
l’inconfondibile colonna sonora di Nove settimane e mezzo. Era
l’on. Curcuruto.
— Come
dici?
— …
— Non
ci sono ventilatori sul mercato?
— …
— Non
ci sono nemmeno soldi?
— …
— Alla
stampa devi dire che siamo pronti, tranquillo ti copro io. Il
Sisalvichipuò è pronto!
— …
— Mi
serve personale? No, assolutamente no. Ho quattro ragazzi volenterosi
che sono ben felici di prenderla nel didietro.
— …
Muccalapuni
rise.
— … (risata)
— Non
consumeremo lubrificanti, stai sereno!
— … (risata)
— Ne
approfitto per chiederti una cosa? La mia nomina a capo dipartimento…
anticipiamola! Che ne pensi?
— …
— Grazie
grazie grazie.
Muccalapuni
chiuse la telefonata con un sorriso che mise in evidenza gli effetti
della nicotina sul suo apparato dentario e gengivale.
— Allora,
Caposala Gargamella!
— Primario,
mi dica. Noi abbiamo sistemato alla meglio seguendo le sue
indicazioni e quelle del facente funzione.
— Sei
stato bravo, ma dobbiamo rifare tutto.
— Tutto?
— Tutto!
Piergiorgio
si intromise: — Ma guardi che stiamo rispettando le linee guida,
compatibilmente con la struttura.
— Qualcuno
ti ha detto di parlare, Morfina?
— No,
ma…
— Ma
comando io! — Muccalapuni sbatté il pungo sul ripiano della
cucina.
Piergiorgio
e Gargamella si lanciarono un’occhiata rassegnata.
— Modificheremo
due o tre cose. Faremo foto, video, dichiarazioni. Gargamella, chiama
l’ufficio stampa. Noi siamo pronti per l’emergenza COVID.
http://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpg00adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2020-04-04 18:08:462020-04-04 11:32:53# 8 L'amore ai tempi del COVID19
Piergiorgio
era dubbioso. Era arrivato il momento di dichiararsi apertamente? Una poesia
poteva bastare per conquistare il cuore di Marina? Le bionde fause dai
capelli lunghi, le cosce affusolate e gli occhi ambrati erano le più difficili
da conquistare: nonno Turi glielo diceva sempre.
Era meglio
aspettare che l’isolamento terminasse per riempirla con una vagonata di fiori? L’incertezza
lo perseguitava, mentre consumava una Marlboro dopo l’altra, rinchiuso tra le
mura del suo appartamento da single. Bastava un centimetro un po’ più in là o
un po’ più in qua per mandare tutto all’aria.
Aprì il
frigo: era vuoto. Non faceva la spesa nemmeno al tempo del coronavirus. Mezzo limone ammuffito e
puzzolente era l’unico esemplare superstite della pandemia. Per un istante la
tachicardia investì il torace di Piergiorgio, ma si rincuorò alla vista
dell’unica donna che non lo aveva mai deluso: Birra Messina ai cristalli di
sale. Le dodici bottiglie allineate gli fecero passare la crisi ansiosa che
stava iniziando a montargli dentro.
Stappò la
bionda siciliana e ricopiò con la miglior calligrafia possibile i versi di
Edoardo. Erano profondi. Ma da dove venivano quei pensieri? L’ultima volta che
il suo amico si era espresso senza dire una parolaccia o regalare frasi
maliziose a doppio senso era stato il giorno della prima comunione. Poi si era
rivelato per ciò che era realmente: un depravato. Adesso se ne usciva con una
poesia alla Pablo Neruda. Niente niente che si era innamorato anche lui? Di
chi? Forse un’asiatica?
Piergiorgio
ragionava. Aveva bisogno di un piano per conquistare Marina. Non poteva
presentarsi sotto casa sua e mettersi a recitare la poesia. Avrebbe balbettato
al primo rigo. E poi si sarebbe sentito in imbarazzo. Per non parlare delle
sentinelle (Santa Maria Goretti ed Elizabeth II di Gluecity) che gli avrebbero
fatto i raggi X. Scosse la testa. Non era fattibile.
Tracannò
l’ultimo sorso di birra, mentre i suoi neuroni correvano intorno alla
soluzione. Gli sarebbe servita la sua amica del cuore.
Il problema
principale era rintracciare Evelyn, la romanaccia. Assegnata a un ufficio della
direzione sanitaria di presidio, quindi imboscata, sarebbe stata un’ardua
impresa poterci parlare. Tra una missione, una 104, un permesso retribuito e un
giorno di ferie, rischiava di incontrarla tra non meno di trenta giorni. Lo
sconforto lo colse impreparato, poi lo smartphone squillò. Era l’oroscopo di
Nostradamus, che recitava così: “La
fortuna vi accompagna in famiglia con davvero bei momenti da vivere insieme ai
vostri figli o parenti stretti come nonni o zii, cugini, ecc…”
Minchiate!
Era single, isolato, mezzo depresso e con due mongolfiere in mezzo alle gambe
che presto gli avrebbero fatto prendere il volo.
Continuò a leggere:
“Il fato può portarvi qualcosa di buono
soltanto se avete seminato in passato e quindi si tratterà comunque di una
fortuna meritata piuttosto che caduta dal cielo. Ottime giornate quelle di
venerdì e sabato per provare a giocare ad una lotteria ma ricordatevi di
giocare il minimo indispensabile.”
Primo: la
lotteria era stata bloccata dal governo. Secondo: venerdì era troppo lontano e
non pensava che il coronavurs gli avrebbe lasciato scampo. Terzo: che cosa
aveva mai seminato di così importante nella sua vita? Non aveva mai nemmeno
avuto un orto! L’oroscopo era un’emerita stupidaggine, creata per i creduloni
come lui.
Riprese a
fumare. Guardò l’ora: il suo turno di guardia iniziava tra meno di mezz’ora. Si
vestì di tutto punto e si scapicollò in ospedale. Aveva lasciato la sua
utilitaria con una ruota in un’aiuola. Le ferie erano state revocate a tutti e
quindi trovare un parcheggio al Sisalvichipuò Hospital era diventato più
difficile che vincere la lotteria Italia.
Tutti i
dipendenti del nosocomio erano pervasi dalla folle paura di infettarsi. Non si
parlava, non si scherzava e si comunicava a gesti.
Piergiorgio era
imbracato al punto che sembrava un Talebano e difficilmente riconosceva i
colleghi di lavoro tra mascherine e cuffiette.
Il Sisalvichipuò
aveva subito la mutazione tanto temuta, dettata dalla sempre più diffusa
patologia del nuovo millennio: il cacazzo.
— Sei tenuta a damme la mia mascherina,
capito? Nun mene frega un cazzo se non ne avete! Io nun ce vengo a lavorà se
non mi date i dippiì!
Il volto di
Piergiorgio si illuminò. Non riusciva a vedere Evelyne, ma sentiva la sua voce.
Era lei: la grandissima scassapagghiaro e attaccabrighe romana!
Accelerò il
passo. Doveva incrociarla. Voltò l’angolo e se la ritrovò davanti. Stava
litigando con Gianna Apnea, che utilizzava i suoi modi garbati per abbassare i
toni della discussione.
— Direttore, nun me ne frega niente di niente.
Echecazzo!
— Ciao —
s’intromise Piergiorgio.
— Dottore
Morfina, per favore, non si metta in mezzo anche lei, che già stamattina in
questa direzione facciamo scintille.
— Che vuoi pure te? — Evelyne era un toro nell’arena
pronto a caricare.
— Non ho
potuto fare a meno di ascoltare e posso risolvere io il problema della signora
Evelyne — precisò Piergiorgio, rivolgendosi al direttore sanitario, prima di
ruotare lo sguardo verso la ragazza.
— Signora sarà tu sorella.
— Dottore
Morfina, se ha la soluzione, se la veda lei. — Gianna Apnea voltò le spalle e
si allontanò, mettendo in mostra il suo lato b, che non aveva niente a che
vedere con quello di Marina. Il fondoschiena del direttore sanitario, più che
parlare, assomigliava a una televisione vecchio modello con cinescopio!
— Allora, dimme come mi puoi aiutà, a me serve
una mascherina, sennò giuro che a quella le tiro i capelli e glieli faccio
magnà.
Piergiorgio
ripensò all’oroscopo. Ecco la sua semina: avrebbe procurato una mascherina a
Elevelyne.
— Te la do
io, conosco il nascondiglio segreto di Gargamella.
— Annamo, a chi stamo aspettanno?
Piergiorgio
ed Evelyne, una moretta dall’aria incazzusa e l’occhio sveglio, raggiunsero la
stanza del caposala del reparto di Rianimazione.
— Ce vedono tutti. Sei proprio un cojone!
— Statti
muta almeno un secondo.
— Nun è che sei juventino? A me i juventini me
stanno sur caz…
— Ti ho
detto stai zitta, sennò ci fai sgamare!
— Ma sei juventino?
Piergiorgio
la ignorò. Era juventino fin dentro il midollo. Nel suo cuore c’era tatuata una
“J” e se si fosse tolto la camicia il tatuaggio della Vecchia Signora sarebbe
scintillato, ma evitò di rispondere. Controllò il corridoio: era deserto. In
cucina intravide la sagoma di Pippo Bibita, giovane anestesista neo-assunto,
bello e dannato. Infermiere, ostetriche e dottoresse avrebbero fatto a cazzotti
per lui. Si vociferava che fosse ben dotato. Evitò di incrociarlo per non
sorbirsi il lungo elenco delle sue innumerevoli conquiste.
Piergiorgio
si muoveva rasente al muro e si rivedeva in un film di 007. Per un attimo si
sentì Sean Connery, ma poi si voltò, dietro di lui c’era Evelyne. Si rese conto
che non era Ursula Andress e che non si trovavano su una meravigliosa spiaggia,
ma bensì in un reparto di Rianimazione ai tempi del COVID19.
Raggiunsero
la stanza di Gargamella. Si fiondarono dentro. Con maestria Piergiorgio aprì il
vecchio e sconquassato armadietto del caposala e con somma soddisfazione trovò
un pacco intonso e sigillato di mascherine chirurgiche. Ne afferrò due, poi
scappò via, seguito dalla romanaccia.
— Grazie, Pergiò, sei stato n’amico.
Hai rischiato per me e questo nun lo dimenticherò.
— Figurati.
— Se posso fà qualcosa pe’ te, sai dove
trovamme.
Evelyne gli
voltò le spalle per tornare in direzione a sbrogliare carte, ma dopo la semina,
c’è sempre il raccolto. Lo diceva l’oroscopo.
— Effettivamente
volevo chiederti una cosa — disse Piergiorgio.
— Dimme pure. — La donna gli piantò
addosso i suoi occhi picei.
— Sei la
miglior amica di Marina?
Evelyne
annuì.
— Ho bisogno
che le fai avere questa. — Piergiorgio le porse una busta.
La mora la
prese e la rigirò tra le mani. La mise in controluce cercando di scorgerne il
contenuto — Che cos’è? — chiese.
— Una cosa
che vorrei leggesse Marina.
— Perché nun poi dargliela te?
— Insomma… è
personale… intima…
— Me sta a salì la glicemia. Nun me dì che è una
lettera d’amore?
Piergiorgio
alzò le spalle e fece segno che ci aveva quasi azzeccato.
— Preparame l’insulina. Sarà mica ‘na poesia?
Evelyne si
diede una manata in fronte.
— Se ci tieni gliela do oggi stesso, ma nun te
voglio illudè, l’amica mia è cotta, ha la testa tra le nuvole, gli occhi
sognanti, il cuore nello zucchero…
— Non ti ha
parlato di me? — chiese Piergiorgio.
— Nun me ha detto niente di niente. E appena
me dice che s’è ‘nnamorata, glie spacco la capoccia!
— Ma scusa
che hai contro l’amore? — Piergiorgio proprio non capiva.
— Voi uomini siete tutti ‘na massa di stronzi.
Ma te voglio aiutà, oggi stesso le darò la tu’ busta.
— Grazie.
— Nun c’è de che. Ma te posso chiedè io
n’altra cosa?
Piergiorgio restò imbambolato dinanzi alla BMW serie 6 nera fiammante,
parcheggiata dinanzi all’ingresso del Sisalvichipuò Hospital. Si grattò la
testa e corrugò la fronte. Osservò il cielo. La primavera non poteva sapere che
un virus letale e altamente contagioso si spandeva dal nord al sud dello
stivale e mieteva vittime come niente fosse. Il sole splendeva alto in cielo e
riscaldava le sue membra assuefatte. Gonfiò il petto. Si sentiva importante.
Per una volta nell’arco della sua carriera non ragionava più sui turni festivi
o sulle notti insonni, ma aveva assunto quel ruolo che da sempre competeva agli
anestesisti-rianimatori. Altro che medicina dei servizi. Si ripromise di
scrivere una lettera al ministro per far togliere quella dicitura ignobile. Da
un mese ormai i ginecologi, i chirurghi e i vascolari non rompevano con false
urgenze, tranne chi aveva lasciato i libri all’università e non comprendeva il
momento storico che stavano vivendo.
Piergiorgio amava il mare in tempesta. Il suo posto era sempre stato sulla
cresta dell’onda. E tutte le storie d’amore che aveva avuto, i flirt le mezze
toccate di minne erano passi che lo conducevano a lei: Marina, che
rappresentava la metà della sua mela. Sarebbe stata perfezione accanto a lui in
mezzo alla spuma del Tirreno. Lo sentiva. La percepiva aldilà dell’involucro. E
il suo sesto senso non sbagliava mai, sia in sala operatoria, sia quando si
imbatteva nel meraviglioso profumo di Marina.
La BMW era lì e lo guardava con occhi di sfida.
— A noi due — mormorò Piergiorgio, prima di accarezzare il chiodino
d’acciaio.
Umberto Desiderio, questo è per aver cenato con Marina, pensò.
Mosse due passi verso il SUV, controllò che nessuno lo stesse osservando.
Il parcheggio era deserto, vedere gente in giro era utopia; ad eccezione del
quarantenne che faceva jogging con indosso una bella FFP3 e che aveva mandato a
strabenedire qualche minuto prima di varcare la sbarra dell’ospedale.
Stringeva in mano il chiodino appuntito. Era a pochi centimetri dalla
carrozzeria immacolata, pronto a sancire la sua vendetta, ma fu in quel momento
che il suo telefono vibrò.
Chi poteva essere?
Si paralizzò quando lesse il mittente del messaggio: Marina.
Spero di vederti in ospedale. Ho ripensato al tuo invito e ho deciso che a
cena voglio andare solo con te.
Mai buongiorno fu tanto gradito. Si sentì in un fumetto: due ali alle
caviglie lo portarono a un metro da terra. Il sole che prima lo riscaldava,
adesso gli strizzava l’occhio e il cielo azzurro della sua Calabria lo avvolse
in un abbraccio. E si sentì in pace con l’universo. La carrozzeria era salva,
per adesso. L’operazione chiodino d’acciaio non era annullata, ma rinviata.
Desiderio aveva un conto in sospeso… per sempre! Ma in testa gli balenò il
tabellone allo stadio: Morfina 1 – Desiderio 0.
Piergiorgio non rispose all’sms, ma si precipitò dentro e fece la fila al
timbro, poi si diresse all’ufficio ticket. Dietro il vetro Marina era assorta e
non si accorse che lui le andava incontro. I capelli le coprivano in parte il
volto e scendevano morbidi come seta sulle spalle. Si avvicinò così tanto allo
sportello che trasalì quando la signora Anna tossì.
— Buon… buongiorno — disse Piergiorgio, che avvampò. Il suo volto tondo
divenne rosso come un pomodoro cuore di bue.
— Dottore, ha bisogno di qualcosa? Come mai si trova ai piani bassi?
Anna, una mora cinquantenne dal volto gentile e gli occhi scuri e
impenetrabili, sorrideva, sorniona. Piergiorgio capì che lo aveva visto
imbambolato, completamente incantato da Marina.
— No.. No… insomma… passavo di qui…
— Per caso?
Piergiorgio era imbarazzato. Non riusciva ad elaborare una delle sue
proverbiali risposte, che lo avevano sempre tirato fuori dalle situazioni
spinose. Marina era il suo tallone d’Achille.
— Volevo chiedere un’informazione… ma Marina è impegnata.
— Io sono libera. — Anna sorrise.
— Sì… ehm… allora… io… — Piergiorgio iniziò a contorcersi le mani, mentre
l’incendio continuava a divampare sul volto.
— Allora? — Anna sembrava divertita. Si prendeva gioco del rianimatore. Ma
Piergiorgio non riuscì a scriverla nella lista nera di coloro che non avrebbe
intubato durante la pandemia. I modi gentili della donna la annoveravano tra i
salvabili.
— Ecco… sì. Mi serve un ricettario. — Era una proverbiale minchiatuna ca
pala, ma non gli venne in mente altro.
— Gli ambulatori sono chiusi, ma se proprio ne necessita un altro, dovrebbe
consegnare quello vecchio.
— Grazie dell’informazione, sa che faccio? Aspetto che la sua collega si
liberi così mi faccio spiegare meglio.
Anna sorrise e poi mimò un cuore con con indici e pollici.
Piergiorgio sorrise, imbarazzato. Si sentì come se fosse nudo di fronte a
cento donne.
— Senta, posso chiederle una cortesia? — sussurrò poi, — non dica a nessuno
che sono innamorato. Sono un cinico, freddo e stronzo rianimatore di provincia.
Potrei rovinarmi la piazza.
Anna rispose con un occhiolino, poi disse: — Continuo io col signore, il
dottore ha bisogno di parlare con te.
Marina alzò lo sguardo dalle impegnative. Il broncio da bambina viziata
lasciò il passo a un sorriso delizioso. Piergiorgio fu colto dalla voglia di
afferrarle il volto e stamparle un bacio (sbattendola al muro!), ma si limitò a
dire: — Ciao.
— Ciao — rispose Marina.
Quella sua voce era l’unica che voleva sentire tutte le mattine quando si
svegliava. Piergiorgio rinsavì. Si era rincoglionito per due occhi da cerbiatta
e un culo parlante (che quella mattina non aveva potuto ammirare)! Non poteva
essere solo quello.
— Sono passato a salutarti.
Anna li osservava con occhi da sentinella. Piergiorgio si sentì squadrato e
controllato e si mise sull’attenti, come se si trovasse in una caserma e fosse
sotto esame dal suo superiore.
— Grazie del pensiero.
Un silenzio imbarazzante frugava nella mente di Piergiorgio.
Piergiorgio rafforzò il saluto con un cenno della mano e raggiunse il
reparto, saltellando.
Il clima che regnava in Rianimazione era di allerta e tensione. Le
discussioni sempre le stesse: tamponi che non arrivavano, ventilatori limitati,
maschere da sub modificate per CPAP.
Gargamella, sempre più incazzato col mondo, cercava soluzioni: vecchi
ventilatori diventavano funzionanti, attacchi dell’ossigeno venivano installati
alle pareti, e poi percorsi sempre nuovi per l’emergenza. I casi in Calabria
aumentavano: dovevano essere pronti. La paura di poter contrarre la malattia
aleggiava, ed era peggio dei turni massacranti e delle ferie revocate. Tutti
avevano qualcosa da perdere. Il coronavirus aveva azzerato le certezze,
alimentato l’angoscia e resettato tutte le abitudini.
Piergiorgio iniziò il turno di emergenza, sperando che non arrivassero
COVID. Aveva trovato Marina e si era imbattuto in qualcosa che soltanto una
volta si incontra nella vita: l’amore. E non voleva rinunciarci. Mai più.
Piergiorgio si isolò, altrimenti l’ansia lo avrebbe assalito. Un po’ di
sano cazzeggio su Facebook lo avrebbe tranquillizzato. I suoi amici si erano
trasformati tutti in provetti panettieri e pizzaioli, per non parlare di una
grossa fetta di analfabeti che si erano immedesimati in virologi di grido.
Persino l’onorevole Curcuruto continuava a postare minchiate. Passò oltre. Non
aveva voglia di incazzarsi con politici e burocrati.
La sua attenzione fu catturata da un articolo: l’ospedale di Vattelapesca,
nel cuore della Lombardia, era in affanno. Mancavano rianimatori. Per un
istante pensò che era il momento di partire e dare una mano lì dove c’era
bisogno. Che ci faceva rinchiuso in un ambulatorio come un codardo? Ma il suo
posto era lì: al Sisalvichipuò Hospital.
E doveva pensare alla sua gente.
Una lacrima gli rigò la guancia. Al Vattelapesca lavorava Oreste
Trepalletreteste, suo amico e collega. Compose il suo numero e lo chiamò. Si
salutarono, commossi.
— Come stai?
— Sono sfinito. Lavoriamo giorno e notte. Combattiamo un nemico invisibile.
— Sto vedendo sui giornali e in TV.
Dopo una breve pausa Oreste chiese: — Com’è la situazione laggiù?
— Speriamo di contenere, altrimenti non avremo scampo.
Piergiorgio immaginò Oreste annuire.
— Ve lo auguro. Questa pandemia è una tragedia senza precedenti. La gente
muore sola, lontana dagli affetti. Senza un amico o un parente che possa
stringergli la mano. Senza nessuno che pianga al funerale.
Oreste trattenne un singulto.
— Come posso aiutarti?
— Non c’è modo. La stanchezza dopo diciotto ore si sente. Non abbiamo più
posti letto e ieri… ieri…
— Cosa è successo? — Piergiorgio non nascose l’apprensione.
— Ho dovuto scegliere se intubare un giovane o un altro meno giovane.
— Meno giovane? Che intendi?
— Tra un quarantenne e un cinquantenne.
Piergiorgio non riuscì a replicare. Non avrebbe mai voluto trovarsi in
quella situazione.
— Non è stato facile… — riprese
Oreste.
— Cosa possiamo fare?
— Prega, amico mio.
— Io non credo a niente, lo sai.
— Nemmeno io.
— E allora?
— Trova la fede, altrimenti trova qualcuno che preghi per te.
La fine del turno arrivò. E fu sera. Solo nella sua casa le ombre del
coronavirus aleggiavano insieme alle parole di Oreste. Per Piergiorgio non ci
fu modo di prendere sonno. La
radiosveglia segnava le due quando lo smartphone squillò. Era un sms di Edoardo
e recitava così: ecco la poesia per la tua bella.
Seguì una foto col testo.
Il tempo. Vorrei donarti il tempo
e sorrisi senza pianti,
giornate senza nuvole per passeggiare
e piovose per fare l’amore,
vorrei regalarti la felicità
e la vita che c’è nello sguardo acerbo
di un bambino,
Piergiorgio rimase stupito. Anche Edoardo aveva un animo delicato e
sensibile, nascosto dietro la scorza dura da scrittore underground.
http://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpg00adminhttp://antoninogenovese.com/wp-content/uploads/2023/08/antonino-genovese-300x150.jpgadmin2020-04-01 17:02:402020-04-01 17:02:43#6 Sms, conversazioni telefoniche e un amore sconsiderato