#2 Teorie complottiste
La sensazione che provava ogni volta che si trovava al Sisalvichipuò Hospital era la stessa dal 2014, quando per la prima volta aveva varcato la soglia del piccolo ospedale di provincia di cui si era innamorato: era a casa. Piergiorgio non amava i grandi numeri degli ospedali di città. Le gerarchie dei Policlinici non facevano per lui che era sempre stato d’indole libera e poco incline alle regole. Ma da quando era scoppiata la pandemia e la gente moriva, non si sentiva al sicuro. Il premier aveva parlato alla nazione, emanando un DCPM restrittivo che aveva messo le ganasce persino al suo amico scrittore-mantenuto Edoardo, il quale era stato costretto ad annullare il mega evento letterario per la presentazione del suo libro porno-erotico “La dottoressa se la fa in ambulatorio”, che il regista Rocco Siffredi aveva già opzionato per un film che sarebbe stato girato entro la primavera del 2021.
Non riusciva a rinunciare alle vecchie abitudini, non tanto perché non riusciva a privarsi di ciò che faceva da anni, ma per la sua indole scaramantica. Alla colazione al “Bar Mario” con Edoardo non avrebbe rinunciato. Ne valeva della buona sorte del turno.
Caffè ristretto amaro come il veleno, mezza ciambella fritta senza zucchero e sigaretta.
— Sono le sette e mezza. A che ora monti? — chiese Edoardo, alto e dinoccolato. Con l’indice riposizionò gli occhiali da sole alla radice del naso a patata. Proprio non ne volevano sapere di stare al proprio posto.
— Alle otto. Mi fai la stessa domanda da cinque anni.
— Sì, ma porta bene. O no?
Piergiorgio si toccò in mezzo alle gambe. Il gesto non passò inosservato ai pochi avventori, che lo guardarono schifati. Era poco galante, ma un turno in pace era molto meglio delle occhiate malevole della gente.
— Speriamo.
— Posso farti una domanda personale? — chiese Edoardo, dopo aver ingurgitato il caffè in un unico sorso.
Piergiorno annuì
— Ma perché continuiamo a fare colazione in questo bar schifoso?
— Perché porta bene.
— Ah sì, allura paga tu, e prepara un posto in rianimazione che mi hanno avvelenato!
Piergiorno accese la Marlboro. E siamo alla terza, pensò. Di questo passo il pacchetto non sarebbe arrivato a sera.
I pochi coraggiosi che prendevano ancora il caffè al bar si scansavano gli uni dagli altri, respiravano poco e parlavano ancora meno. Piergiorgio si diresse a rapide falcate verso l’ospedale. Erano le otto meno dieci e non era sua abitudine dare il cambio in ritardo.
— Secondo me questo è un virus creato in laboratorio per distruggere l’occidente — disse Edoardo.
— Sì, come no…
— Te lo dico io! Questi cinesi vogliono affossarci.
— Secondo te siamo una potenza economica che fa paura? Ma dai… ti facevo più intelligente.
Edoardo afferrò il gomito di Piergiorgio, che sobbalzò. Da giorni ormai i contatti umani e le manifestazioni d’affetto erano bandite.
— Ci sono! Il mio best-seller.
Piergiorgio si staccò dalla presa e riprese a camminare verso l’ospedale senza dargli conto.
— La scena con l’asiatica!
— Non ti seguo.
— Hai letto o no il mio libro? — Edoardo si piazzò dinanzi all’amico, impedendogli di proseguire
— Non tutto… sai… insomma…
Edoardo si accigliò.
— Non ti offendere. È un porno! E anche poco originale.
— Poco originale! Tu non capisci niente di libri!
— Sì, ma… insomma… non so che c’entra l’asiatica.
— Stanno boicottando il lancio del mio libro. Io sarei diventato famoso… capisci? La pandemia è un pretesto per tarparmi le ali da scrittore. Persino Rocco si è interessato al testo, sta già scrivendo la sceneggiatura.
— Sono certo che era interessato ai dialoghi! — ironizzò Piergiorgio, poi riprese a camminare.
— Tu puoi non credermi, ma si tratta di un complotto internazionale.
— Sì, ma stai a casa. Non uscire e non fare stupidaggini. Se il coronavirus dilaga, siamo persi.
— Vedrai che è solo un’influenza. Una bolla di sapone… — Edoardo minimizzò, come era suo solito fare.
— Spero che sia come dici tu. Mentre tu studi bene la scena con l’asiatica, io vado a lavorare. Il Sisalvichipuò ha bisogno di me.
— Sei fissato con questo ospedale. In fondo sono quattro mura, un tetto, siringhe, sale operatorie…
— Forse per te, per me è… casa.
Edoardo non sapeva che lì dentro, presente tutti i giorni dietro il vetro dell’ufficio ticket, c’era Marina, la donna che con i suoi capelli biondi, il suo sorriso smagliante e, soprattutto, un fondoschiena parlante, lo aveva stregato fin dalla prima volta che ci era andato a sbattere contro.
Le cose non erano andate come sperava e quella mattina Marina era nascosta in qualche sgabuzzino recondito a sbrogliare scartoffie. Il sole che brillava dentro il Sisalvichipuò era offuscato. Aveva l’impressione che la primavera fosse rimasta fuori ad aspettare un invito, come un ragazzo di troppo quando si fanno le squadre al campo dell’oratorio. Per un attimo tornò adolescente, mentre calcava i campi di calcio sterrati e il sogno di diventare il nuovo Roberto Baggio, solo che a stroncare tutto era stata una torsione di troppo del ginocchio e i legamenti saltati per aria. Anche se di Baggio aveva avuto solo il codino, perché i piedi erano storti come una quercia piegata al vento, inutile negare l’evidenza. Al destino non si scappa e così a vent’anni aveva capito che doveva rimettersi a studiare. Aveva conosciuto il suo maestro in un maggio assolato, mentre fuori i suoi coetanei correvano dietro sogni irrealizzabili, lui si era innamorato di un laringoscopio e un tubo da mettere in mezzo alle corde vocali. Ed era stato amore. Piergiorgio sentiva di essere nato per quello: l’umo per gli altri.
Salì i gradini con mille pensieri e una Marlboro spenta all’angolo della bocca. Aprì la porta del reparto. Un lungo corridoio collegava il complesso operatorio alla Rianimazione. Lo accolse il caposala Gargamella. Occhi spiritati dentro un cranio calvo. Le occhiaie di chi non dorme da molti giorni. Una sigaretta appena rollata. Due orecchie a parabola piegate sotto il peso di un paio di occhiali del dopoguerra. Sembrava un gatto pronto a scattare: pelo arricciato e artigli allerta.
— Mettiti la mascherina. — Lo rimproverò.
— Ma sei impazzito?
Piergiorgio non lo riconosceva più. Il Coronavirus aveva trasformato lo scanzonato Gargamella.
— Fuori c’è la morte. Lo capisci? La morte. E noi non abbiamo percorsi. Non abbiamo DPI. Ho tirato fuori tutto quello che era utile in farmacia e sai che ho trovato?
Piergiorgio fece segno di no con la testa.
— Una beata minchia!
Gargamella si allontanò e dopo pochi passi si esibì in un saltello nervoso.
— Anziché scassarmi la minchia come fai da sei anni a questa parte… il primario dov’è?
Piergiorgio non ottenne risposta, ma le discussioni in cucina lo informarono con abbondanza di dettagli (al settanta percento inventati) degli ultimi eventi di reparto cui lui non era a conoscenza.
Il dottor Muccalapuni soffriva di ipertrofia prostatica cronica. Andava a pisciare ogni venticinque minuti, cascasse il mondo. E tramite l’onorevole Curcuruto aveva ottenuto un appuntamento dal dott. De Tubis, luminare del settore prostatico. In pratica nel mondo potevano solo… inchinarsi a lui. Ma le liste d’attesa si allungavano, specie per chi, come Orazio Muccalapuni, aveva il braccino corto e preferiva una scorciatoia politica a sborsare le duecentocinquanta euro più iva di visita intramoenia. Così l’esponente di spicco di Forza Calabria, nonché sponsor politico della sua nomina a primario, era riuscito ad ottenere un appuntamento a ufo per il 24 febbraio 2020. Ma De Tubis non sembrava tipo da sottomettersi a un politico, specie se della Terronia, così per un capriccio aveva rinviato il consulto per il 27 febbraio, in piena emergenza corunavirus. Muccalapuni al rientro dalla zona rossa della Lombardia si era rinchiuso in quarantena a casa con la sua giovane e generosa terza moglie, lasciando allo sbando più totale i rianimatori del Sisalvichipuò.
— Quindi se mi arriva un COVID che faccio? — chiese Piergiorgio.
— Prega — rispose Gargamella, sghignazzando.
Sistemeranno tutto. Non ci lasceranno in balia della tempesta, pensò Piergiorgio. Ma più che una certezza era una recondita speranza in fondo al suo animo.
— Compà. — Entrò in cucina, mantenendo la distanza di sicurezza, l’altro maschio del reparto: Pippo Buddacio.
— Ehi. — Piergiorgio non aveva voglia di sfoderare la sua ironia. Tra la sottile cefalea, residuo della bevuta della sera prima, e la paura che iniziava a montare per una pandemia che bussava alle porte del suo ospedale, la voglia di scherzare l’aveva lasciata fuori dalla porta della Rianimazione.
— Amico mio, quante ferie residue hai? — sussurrò, dopo averlo fatto uscire dalla stanza in cui gli altri colleghi ironizzavano sulle prestazioni sessuali di Muccalapuni.
— Dovrei controllare il cartellino… saranno novanta giorni.
— Ho trovato il modo per levarci da questo posto per quattordici giorni. — Gli occhi azzurri di Pippo saettavano, febbrili. I riccioli brizzolati crescevano incolti e bizzarri, così come la barba, lasciata allo stato brado.
— Il direttore sanitario ha revocato le ferie — disse Piergiorgio, ripetendolo a se stesso per interiorizzare il concetto.
— Ho un piano.
Piergiorgio avvicinò l’orecchio destro alla mascherina di Pippo.
— Ci serve un bambino positivo. I bambini sono vettori, ma sono asintomatici. Ne individuiamo uno di una casa di pazienti infetti. Lo blocchiamo, facciamo due tamponi e li mandiamo a nome nostro. Risulteremo positivi e ci mollano a casa quattordici giorni. Che ne dici?
— Pippo, ascolta, quant’è che non scopi?
— Come? Scopare? Che vuoi dire?
— Hai capito, quant’è che non stai con una donna?
Un tic nervoso si slatentizzò sull’occhio destro di Pippo.
— Fatti una scopata e levati dalla testa queste follie.
Pippo si sfregò le mani, poi si allontanò da Piergiorgio. La testa si muoveva sincrona con i passi, compiendo piccoli scatti ritmici sulla destra.
— Scopare, scopare — mormorava Pippo.
Già. E io quant’è che non sento l’odore di una donna? Pensò Piergiorgio.
Il pensiero tornò a Marina. Una giornata senza vederla era priva di significato. Anche un cinico, freddo e stronzo rianimatore come lui era stato colpito dalla freccia di cupido?
©Antonino Genovese
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